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 di Fabrizio Razzauti

La fotografia di Serafino Fasulo, scattata durante un reportage nel campo profughi di Lesbo, cattura un momento di profonda umanità che emerge dalla penombra di un contesto difficile. Il gesto di una mano che offre spicchi d’arancia fuori da una tenda assume un significato che va ben oltre l’azione stessa: rappresenta un atto di generosità e di dignità nonostante la situazione di sofferenza e precarietà.

L’ immagine rivela un aspetto nascosto e intimo della vita nei campi profughi, dove la quotidianità e la sopravvivenza si intrecciano con gesti di condivisione che spesso restano invisibili al resto del mondo. La fotografia mostra un volto solo parzialmente visibile, che emerge timidamente dalla penombra. Quest’ombra simboleggia l’anonimato e la marginalità a cui sono relegati molti dei rifugiati, persone di cui raramente conosciamo la storia e il nome, ma che con piccoli gesti come questo cercano di mantenere una connessione con l’altro, di condividere quel poco che hanno.

Gli spicchi d’arancia, così luminosi e pieni di colore, contrastano con il grigiore della tenda e la sobrietà dell’ambiente circostante. Questo contrasto cromatico è significativo: l’arancia diventa simbolo di speranza, di calore, di qualcosa di semplice ma prezioso in un contesto di scarsità. La luce che cade sugli spicchi li rende quasi simbolici, ricordandoci che anche nei luoghi più bui e in momenti di grande difficoltà, esistono gesti di compassione e di umanità.

Il «B-Side» di questa fotografia risiede nella sua capacità di rivelare un’umanità nascosta, quella dei rifugiati che spesso vengono ridotti a numeri o statistiche. Serafino Fasulo, con uno sguardo empatico e rispettoso, riesce a cogliere un frammento di autenticità e di dignità, un gesto di ospitalità che appare paradossale ma che diventa commovente, dato il contesto di privazioni. L’uomo nella penombra, che rimane anonimo, diventa il simbolo di migliaia di persone che vivono situazioni simili, nascoste e spesso dimenticate.

Serafino con questa immagine ci invita a riflettere su ciò che rimane nascosto nei reportage dei campi profughi: non solo le difficoltà e le privazioni, ma anche la capacità di resilienza e di gentilezza. Attraverso un semplice gesto di offerta, l’uomo in penombra ci ricorda l’importanza del contatto umano, anche nelle circostanze più dure, e il valore della condivisione, anche quando si ha poco o niente, con questa fotografia, si offre allo spettatore uno sguardo intimo su una realtà che spesso preferiamo non vedere, ma che ci tocca profondamente con la sua sincerità.

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