di Fabrizio Razzauti
La fotografia di Matteo Farolfi è una rappresentazione intima e introspettiva che gioca con l’idea di identità, artificialità e intimità. La scena mostra una giovane donna a torso nudo che abbraccia stretto un manichino da sartoria, un gesto che trasmette affetto e forse un senso di dipendenza. Il manichino, contraddistinto dalla scritta «Collapsible Model» diventa un simbolo della perfezione artificiale, un oggetto inanimato e senza volto che rappresenta un’ideale di corpo femminile standardizzato e privo di personalità.
Interpretare questa immagine come un «lato-B» significa cogliere i temi nascosti che emergono dal contrasto tra l’umanità della donna e l’artificialità del manichino. La donna, con i suoi tatuaggi e il suo abbraccio quasi disperato, sembra cercare un conforto in qualcosa che non può rispondere, una ricerca di connessione in un mondo che spesso impone modelli standard e irreali di bellezza e identità. Questo gesto può rappresentare un conflitto interiore tra l’essere sé stessi e il desiderio, conscio o inconscio, di adattarsi a canoni esterni e idealizzati.
Il bianco e nero enfatizza questo contrasto, sottraendo colore e riducendo la scena a una combinazione di luci e ombre, suggerendo una profondità emotiva e psicologica. La scelta stilistica richiama l’estetica vintage, con riferimenti a un tempo in cui l’industria della moda e della bellezza imponevano (e continuano a imporre) modelli rigidi di corpo e aspetto. La superficie segnata e testurizzata dello sfondo, insieme alle scritte visibili, rimanda al linguaggio di cliché e impersonale, che entra in conflitto con la delicatezza e vulnerabilità del corpo umano.
L’immagine diventa una riflessione sulla tensione tra autenticità e conformità. Il manichino, vuoto e rigido, rappresenta una forma priva di anima, ma è avvolto in un abbraccio umano, segno che esprime il desiderio di trovare accettazione o di identificarsi con un ideale esterno. La donna, a contatto con questa figura inanimata, sembra evidenziare il dilemma della ricerca di sé e del proprio valore in un mondo che spesso giudica e misura secondo standard predefiniti.
Matteo Farolfi sembra esplorare la vulnerabilità e il paradosso dell’essere umano, diviso tra il bisogno di appartenenza e l’unicità dell’identità personale. Il manichino diventa simbolo della pressione sociale, mentre la donna rappresenta il lato autentico, spesso soffocato o nascosto, che cerca di emergere. Questa immagine invita lo spettatore a riflettere su quanto di noi stessi è autentico e quanto è invece plasmato dall’esterno, in una continua tensione tra ciò che siamo e ciò che vorremmo (o dovremmo) essere.