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«10 ai cent’anni» © Antonio Grambone

Testo di Athos Rosini

Senilità, rappresentata da un inappuntabile vecchio signore inquadrato dentro un mezzo di trasporto pubblico. Il nostro ha un espressione dura, l’immagine è sporcata ma graficamente appropriata al contesto cumunicativo. Sulla destra i led disegnano il numero novanta, forse la stessa età del nostro passeggero. Gli indizi o tracce sono contenuti in questo contrappunto, espressione/età, rappresentata da un numero scritto e in forma sentenziosa ribadito nell’incipit.

Testo di Barbara Pierro

La Soglia dei Novanta: L’Attesa dell’Ultimo Decennio
“10 ai cent’anni” — così risuona il sussurro di una promessa velata nel tempo, un numero che non è solo cifra, ma presagio di un’attesa sospesa sul filo del destino. Il volto serio dell’uomo, inciso da rughe che sembrano sentieri tracciati dalla mano inesorabile degli anni, è il ritratto di una mente immersa in calcoli invisibili, in bilanci senza pace. Cosa resta quando i numeri si affollano come stormi di pensieri, quando il novanta si staglia alle sue spalle come un gigante di pietra, immobile e silente?
Forse mancano davvero dieci anni al traguardo dei cent’anni, un secolo che si allunga come un’ombra incombente, e in quella mancanza si cela un’interrogazione eterna: cosa rimane da dire quando il novanta si fa presagio di centinaia? È un conto alla rovescia scandito dal battito lento del cuore, ogni palpito un eco di vita, ogni respiro una sillaba di silenzio che si fa sempre più assordante. Dieci anni, dieci passi sulla soglia del tempo, e l’uomo sembra chiedersi se questa corsa abbia davvero una meta o se sia solo un cerchio che si chiude su se stesso. Le spalle curve, appesantite non solo dal peso degli anni ma dal fardello di ciò che non è stato, di ciò che resta sospeso nelle pieghe della memoria, come foglie secche che non hanno mai toccato terra. Novanta: un numero che ha la gravità di una promessa e la leggerezza di un soffio, un numero che potrebbe significare tanto o nulla, perché ogni cifra è un segreto in attesa di essere svelato. E l’uomo, avvolto nel suo silenzio, sembra dialogare con l’ombra dei suoi stessi pensieri, con quell’imponente “90” che non è solo numero, ma specchio del suo tempo.
Mancano dieci anni, e ogni anno è un istante che si dilata, un universo che si comprime. Cosa conta di più: il traguardo o il percorso? È il domandarsi ciò che rende quest’attesa tanto più struggente, un dubbio che vibra nell’aria come una corda tesa, pronta a spezzarsi o a produrre il suono più puro. Ecco l’uomo, al cospetto dei suoi novant’anni, una figura in bilico tra la soglia e l’ignoto, tra il già vissuto e il non ancora svelato. Ogni pensiero è una ruga, ogni ruga una storia, e ogni storia è un frammento di un tempo che non conosce misura.Forse quei dieci anni non sono altro che un invito a riflettere su ciò che conta davvero, un conto alla rovescia che è meno contabile e più sensazione. È una danza di numeri e di emozioni, una sfida lanciata al futuro, un dialogo con il passato. C’è in quell’espressione pensierosa un’inquietudine quieta, una pace che si trova solo nel pieno abbraccio della propria finitezza. Dieci anni al compimento dei cent’anni: un decennio che non è solo attesa, ma un invito a vivere ogni istante con la consapevolezza di un’ultima luce, di un ultimo respiro che sa di eternità.
E allora, che importanza ha la cifra, se ogni giorno vissuto è già un dono, un frammento di quel grande mosaico chiamato vita? Che importanza ha ciò che manca, se ciò che è stato è già un universo compiuto? Il novanta campeggia a destra, ma è al centro dell’uomo che si trovano tutte le risposte, nel silenzio di un pensiero che non ha bisogno di parole per essere eterno.
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