0586 1837847 info@extrafactory.it
Seleziona una pagina

Io oggi esco © Marina Ciriaci

di Fabrizio Razzauti

La fotografia di Marina Ciriaci, scattata con una macchina fotografica del 1930, è una finestra visiva su un “altrove” che combina elementi di passato e presente, luce e ombra, vita e decadenza. L’utilizzo di una macchina fotografica d’epoca conferisce all’immagine un aspetto profondamente materico, dove la grana, le imperfezioni e le sfumature del bianco e nero aggiungono alla scena una qualità quasi tattile. Il soggetto sembra essere una struttura abbandonata, in cui il pavimento è cosparso di frammenti e detriti, mentre oltre le finestre si intravede la natura rigogliosa che tenta di riprendersi lo spazio.

Interpretata come “B-Side” questa fotografia diventa un’esplorazione dell’abbandono e della trasformazione. La scelta di immortalare un luogo decadente, attraverso uno strumento antico, trasmette un senso di nostalgia e perdita, ma anche di resilienza e speranza. Il “lato-B” in questo caso rappresenta ciò che è stato dimenticato, lasciato in disparte dalla modernità e dal progresso. Eppure, attraverso l’obiettivo della Ciriaci, questa struttura derelitta riacquista un’anima, diventando un simbolo della memoria e della storia che persistono nonostante il tempo e l’abbandono.

La composizione gioca con la luce che filtra attraverso le finestre, proiettando ombre geometriche che si intrecciano con i detriti sul pavimento. La luce che entra rappresenta un contrasto con l’oscurità circostante, quasi come se questo spazio dimenticato venisse momentaneamente risvegliato dalla presenza dell’obiettivo, portando alla luce una storia silenziosa ma intensa. La presenza della natura fuori dalla finestra, verde e rigogliosa, aggiunge un ulteriore livello di significato: il tempo passa, la vita continua a crescere anche quando l’uomo si allontana, e la natura si riconcilia con ciò che l’uomo ha lasciato alle sue spalle.

Scattata con una macchina del 1930, la fotografia invita anche a una riflessione sul valore del passato e sull’importanza della lentezza, della pazienza e dell’attenzione ai dettagli. In un’epoca di tecnologia rapida e scatti digitali infiniti, questa immagine ci riporta a una dimensione più lenta, dove ogni scatto è ponderato, ogni istante catturato ha un peso specifico. Il “lato-B” diventa allora anche un discorso sul valore dell’artigianalità, sulla bellezza intrinseca di strumenti imperfetti che rivelano la realtà con un’intensità che le tecnologie moderne spesso non possiedono. In conclusione, la fotografia di Marina Ciriaci è molto più di una semplice immagine di un luogo abbandonato; è una riflessione visiva sul tempo, sull’abbandono e sulla resilienza, rivelando la bellezza nascosta nelle cose dimenticate, nei luoghi che portano ancora i segni di chi li ha abitati e nei dettagli che emergono solo quando si osserva con attenzione. Attraverso l’uso di una macchina fotografica storica, Ciriaci ci invita a riscoprire la poesia della rovina e la forza del passato, rendendo omaggio a ciò che resta anche quando tutto sembra essersi fermato.

B-Side © Paolo Bonciani

di Fabrizio Razzauti

Questa foto di Paolo Bonciani è una rappresentazione incisiva della diversità fisica nel rugby, in cui ogni atleta, indipendentemente dalla forma corporea, ha un ruolo unico e un valore essenziale nel gioco. Il rugby è uno sport che abbraccia la varietà fisica, richiedendo un mix di resistenza, forza, agilità e strategia. Questo scatto riflette appieno il concetto di “B-SIDE”, rivelando un lato meno convenzionale, spesso trascurato, di ciò che significa essere atleti.

La scena mostra un contrasto evidente: un giovane con una corporatura robusta affronta un compagno più piccolo e agile, pronto a sfidarlo. L’espressione del giocatore in rosso e nero è concentrata e determinata, mentre l’altro, con la maglia numero 17, appare dinamico, reattivo e senza timore. La diversità dei fisici non è solo accettata, ma anche celebrata in questo sport, dove ciascuno può fare la differenza, indipendentemente dalla propria struttura corporea.

Il tema B-SIDE si evidenzia nel mostrare l’inclusività del rugby: un “lato B” della fisicità sportiva in cui il valore di ogni individuo è dettato non solo dalla sua forza fisica, ma anche dalla sua capacità di adattamento e dal contributo unico che può offrire alla squadra. Questa immagine invita lo spettatore a superare gli stereotipi sul fisico ideale dell’atleta, presentando il rugby come un microcosmo in cui la diversità fisica è un punto di forza e una necessità strategica.

La foto celebra dunque il rugby come uno sport democratico, in cui ogni corpo ha uno scopo e un ruolo. L’altro lato dello sport è qui espresso nella possibilità di vedere come l’essenza dell’atletismo non risieda in un singolo modello di fisico, ma nella varietà che rende questo sport ricco di possibilità e sfide.

Il volto oscuro delle solitudine © Alessandro Ciapini

di Fabrizio Razzauti

La fotografia di Alessandro Ciapini, intitolata Il volto oscuro della solitudine, è un’opera che esprime in modo forte il tema dell’isolamento umano. L’immagine ritrae una stazione deserta, immersa in un’oscurità interrotta solo da pochi bagliori di luce artificiale. Al centro, quasi invisibile nel vasto spazio vuoto, siede una figura solitaria, un uomo con una giacca scura, il cui corpo appare proiettato verso il basso, come se fosse piegato dal peso della sua stessa solitudine.

Interpretando questa fotografia come l’altro lato della realtà urbana, vediamo emergere il contrasto tra l’ambiente funzionale della stazione e la condizione emotiva del soggetto. Di giorno, una stazione è un luogo di passaggio, di movimento, ma qui, di notte e vuota, essa diventa una metafora di sospensione. La scena è carica di un senso di attesa e di staticità, dove la presenza umana sembra quasi incongrua, come se fosse intrappolata in un tempo e in uno spazio che le appartengono solo in parte.

L’uso delle luci e delle ombre è particolarmente significativo. L’illuminazione, distribuita in modo frammentato e selettivo, pone l’uomo al centro di un’isola di luce, accentuando la sua vulnerabilità rispetto all’oscurità che lo circonda. Questo gioco di chiaroscuri richiama il “lato oscuro” della solitudine, quella parte dell’esperienza umana che spesso si cela dietro la facciata della vita quotidiana, esplorando le emozioni nascoste e i momenti di introspezione che spesso passano inosservati. L’assenza di altri elementi visivi, se non le linee dei binari e delle strutture della stazione, contribuisce a isolare ulteriormente il soggetto, trasformando l’intera scena in uno spazio mentale oltre che fisico.

L’immagine diventa dunque il volto nascosto della società moderna, una riflessione su coloro che restano invisibili nel flusso incessante della vita urbana. L’uomo solo nella stazione diventa simbolo della condizione di chi, pur vivendo in mezzo a tante persone, si sente distante. Questo scatto diventa un ritratto dell’anonimato, delle storie di vita che restano non raccontate, immerse nell’ombra e nel silenzio della notte. La scelta di una stazione ferroviaria come ambientazione non è casuale: le stazioni sono simboli di partenze e arrivi, ma qui l’assenza di treni e di altri viaggiatori suggerisce un fermo immagine, un limbo esistenziale. L’uomo sembra essere in un “non luogo” uno spazio di transizione che, in assenza di movimento, si trasforma in un luogo di riflessione e malinconia. La fotografia cattura quindi l’essenza del lato-B della società, dove le strutture urbane non sono solo spazi fisici, ma anche contenitori di emozioni, di attese, di solitudini non viste.

Il volto oscuro della solitudine di Alessandro Ciapini è una fotografia che parla della condizione umana in modo profondo e toccante, senza bisogno di troppe parole. È un’immagine che ci invita a guardare oltre la superficie, a esplorare l’altro lato fatto di silenzio, isolamento e introspezione. Questo scatto ci ricorda che, anche nei luoghi di passaggio più comuni, si celano mondi interiori complessi, storie di persone, silenziose ma non invisibili, in attesa che qualcuno noti la loro presenza nel vasto paesaggio urbano.

Identità nascoste © Mauro Tozzi

 di Fabrizio Razzauti

La fotografia di Mauro Tozzi, intitolata Identità Nascoste, è un potente richiamo dell’invisibile, una rappresentazione di ciò che emerge da luoghi oscuri e sconosciuti, quasi come un’apparizione proveniente da un «altrove». La silhouette di un cavallo, che appare come un’ombra definita e al tempo stesso sfuggente, si staglia su uno sfondo ruvido e materico, forse una superficie metallica o una parete logorata dal tempo. La texture dello sfondo, insieme ai giochi di ombra e luce, crea un’atmosfera di mistero e inquietudine, portando lo spettatore a interrogarsi sull’origine e la natura di questa figura che sembra emergere da un mondo nascosto.

L’uso della Holga 120, con il suo obiettivo in plastica, contribuisce a conferire all’immagine un’estetica volutamente imperfetta, con sfocature, contrasti forti e una grana accentuata. Questo approccio tecnico rafforza l’impressione di qualcosa di grezzo e autentico, come se la fotografia fosse il risultato di un’istantanea catturata nell’ombra, dove la luce si riflette in modo imprevedibile e capriccioso. La Holga, famosa per le sue distorsioni e le sue imperfezioni, trasforma ogni immagine in un’opera irripetibile, quasi onirica, rendendo questo cavallo una presenza enigmatica, un’ombra che sembra sfuggire alla realtà ordinaria.

Interpretare questa immagine come «B-Side» ci conduce verso una riflessione sull’identità e su ciò che rimane nascosto alla vista. La figura del cavallo appare come un simbolo di forza e nobiltà, ma qui è ridotta a una semplice ombra, priva di dettagli che ne definiscano l’essenza fisica. In questo senso, Identità Nascoste diventa una metafora visiva delle parti di noi che scegliamo di non mostrare o che restano avvolte nell’oscurità, lati della nostra personalità o della nostra memoria che riaffiorano solo in momenti di introspezione o vulnerabilità. L’autore ci invia un richiamo ad esplorare il nostro stesso inconscio, per scoprire le «identità nascoste» che si celano dietro l’apparenza e che, come ombre, esistono solo quando la luce e l’oscurità si incontrano.

Identità Nascoste è un’opera che sfida chi guarda a confrontarsi con la natura ambigua della realtà e dell’identità. La tecnica imperfetta della Holga e l’estetica dell’ombra creano un mondo sospeso tra il visibile e l’invisibile, ricordandoci che ogni identità è fatta di strati e che, spesso, i lati più autentici si nascondono dietro le superfici, pronti a emergere solo in momenti di vulnerabilità e introspezione.

info e candidature per Extra Factory
Invia per WhatsApp