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«Sporca estate I» © Daniele Stefanini

Testo di Athos Rosini

Immagine graficamernte spinta al limite della leggibilità. Ma c’è quanto basta per attivare la nostra memoria che è portatrice di personali ricordi e di navi che partono in una sera di una “sporca estate”.

 

Poesie di Nella Tarantino

Sporca Estate

Cielo di sabbia e fumo

e rare lontananze

e un molo mozzo

di macchine stanche

acqua come petrolio

nera come la notte

inghiotte la tua nave

in questa sporca estate

sul porto di Livorno.

La tristezza inconscia de le cose (1)

Piero Ciampi come Modigliani, 

Piero Ciampi come Dino Campana,

Genova la sua Livorno.

Troppo amore, disperazione dell’amore.

Sembra di vederlo, ancora, Piero Ciampi,

intravedere la sua ombra, oscillare tra i fanali del porto

e i vichi marini e il cigolio di catene delle gru

e una nave che salpa verso il cielo delle illusioni.

E quanto amore, e quel disperato amore,

dietro la finestra la luce ancora accesa

ed il suo viso,

e la luce già si è spenta

e la sua assenza

ed il suo amore e quanto amore

e la rabbia sola che resta

e ancora cosa resta

di questa sera ambigua

e di questo cielo sporco di nuvole

e di quest’uomo stanco.

(1) Dino Campana, Genova, Canti Orfici, 1914

Testo di Barbara Pierro

Sporca estate I” – Un Tuffo nell’Oscurità del Reale
Un’immagine che si staglia come un grido sordo nell’infinito, un fotogramma che cattura il respiro stanco di un’estate consumata dall’ardore e dall’oblio. Questa fotografia di Daniele Stefanini non è solo uno scatto, ma un portale aperto su una dimensione in cui la luce e l’ombra si fondono in una danza arcana, crudele e sincera. La grana ruvida, come polvere di stelle cadute, ricopre ogni angolo della scena, conferendole una qualità onirica, quasi surreale, eppure così dolorosamente reale.Lo sfondo è un mare scuro, cupo come il pensiero più nascosto, mentre una nave si allontana, caricandosi di un fumo nero che si dissolve nel cielo grigio, quasi fosse il respiro pesante di un colosso meccanico in fuga. Sembra raccontare la storia di un abbandono, di un addio mormorato all’acqua e al vento, un’epopea silenziosa di partenze e ritorni mai avvenuti. E accanto, la gru si erge come un antico guardiano, un Golia d’acciaio che vigila senza giudizio, spettatore impassibile di un mondo che cambia, eppure resta immutato nella sua ciclica disperazione.Le sfumature grigie e nere avvolgono lo sguardo, come se la fotografia stessa volesse imprigionarci in un sogno febbrile da cui è impossibile fuggire. È un’estate sporca, quella di Stefanini, dove il calore non è mai confortante, ma sempre gravido di presagi e fumi tossici che si intrecciano nell’aria. È un’estate che puzza di salsedine, di ferro arrugginito e di fatica umana, un’estate che si dipinge da sola sulle tele sgualcite delle nostre memorie.C’è qualcosa di ancestrale in questa scena, un eco lontano che richiama a miti dimenticati, a un tempo in cui gli uomini e le macchine non erano che embrioni di una visione futura, incerti del proprio posto nell’universo. L’opera di Stefanini ci parla con la voce del più sagace degli oracoli: una voce che non è né giudice né salvezza, ma solo testimone di un’umanità che si dibatte nel buio, sperando di intravedere, oltre la foschia, un frammento di luce.”Sporca estate I” è, in definitiva, un ritratto senza compromessi del nostro mondo contemporaneo, un mondo che naviga verso l’ignoto tra nubi di fumo e polvere, in cerca di una redenzione che appare distante quanto il sole dietro una coltre di tempesta. Un’immagine che ci lascia col fiato sospeso, sospinti da una corrente che sa di malinconia e dolente bellezza, spingendoci a riflettere su chi siamo e su cosa siamo disposti a lasciare indietro nel nostro viaggio periglioso verso l’orizzonte.
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