«Sei salita con rancore» © Massimiliano Cozza
Testo di Athos Rosini
Giovinezza, rappresentata da una giovane donna inquadrata dentro un mezzo di trasporto pubblico. Il riquadro del finestrino delimita lo spazio tra il fuori e il dentro protetto dalla trasparenza del vetro. La giovane è assorta nell’ascolto, si intravede l’auricolare, corre la fantasia; è una poesia cantata di Piero Ciampi “In un Palazzo di Giustizia” da cui è estrapolato l’incipit.
Testo di Barbara Pierro
Il Rancore del Viaggio: La Solitudine della Partenza
“Sei salita con rancore” — un rancore che si annida negli occhi velati di malinconia, un rancore che si arrotola attorno alle spire invisibili del tempo, come un serpente che stringe il suo ventre alla memoria. Sei salita su quel treno, e con te si è imbarcata una tempesta di pensieri avvolti nella nebbia di ricordi graffianti, nelle spine di un passato che non sa più essere addomesticato. Ti siedi, ma è un sedersi di chi non cerca conforto; è un sedersi di resa, come un generale stanco che ha perduto ogni battaglia, ma non la dignità di combattere fino all’ultimo respiro.Nel tuo riflesso sfocato sul vetro si scorge l’infinito del tuo viaggio interiore, un viaggio che non conosce stazioni né orari, ma solo deviazioni impercettibili verso un altrove che nessuna mappa può rivelare. Il mondo fuori scorre, si dissolve in un turbinio di immagini indistinte, ma tu resti immobile, ancorata a quella rabbia che si trasforma in una zavorra silenziosa, un peso che ti trascina sempre più a fondo. Ti sei raggomitolata, quasi a voler sparire nella stoffa del sedile, quasi a voler nascondere alla vista ciò che non può essere visto, se non dall’occhio attento del vuoto che ti scruta, paziente, senza giudizio.
Eppure, in questo tuo piegarti su te stessa, c’è un’eco di sfida, un’ombra di orgoglio che non si lascia spezzare. È un viaggio, sì, ma non un abbandono; è una fuga, ma non senza meta. È la ricerca di un nuovo capitolo, scritto con l’inchiostro dell’ira, con il sangue rappreso delle illusioni perdute. Il treno fende la notte, ma non è il buio che temi: temi il silenzio che segue, la quiete che accoglie la furia del cuore come un oceano accoglie un fiume in piena, lasciandolo disperdersi senza lasciare traccia.
Ogni scossa, ogni fremito del vagone è un rintocco, un battito di tempo che si dilata tra il presente e ciò che sarà. Sei in viaggio, ma non verso un luogo, bensì verso una condizione, una risoluzione che solo tu conosci. È un viaggio che è insieme condanna e liberazione, una promessa fatta a metà, un desiderio che si nasconde dietro un velo di rimpianto e di speranza spezzata. Sei salita con rancore, ma anche con un barlume di attesa, quella scintilla impercettibile che scintilla nelle ceneri del tuo sguardo, una fiamma minuta, fragile, ma innegabilmente viva.
E così, continui. Non c’è altro da fare se non continuare, lasciando che il treno corra e il rancore arda, fino a consumarsi in qualcosa di nuovo, di inspiegabilmente tuo. Forse è il viaggio stesso la tua risposta, un percorso che non ha bisogno di conclusioni, ma solo di proseguire, di esistere per il semplice atto di esistere. Forse è proprio nel rancore che troverai la tua redenzione, in quell’ardere silenzioso che illumina il tuo volto, anche solo per un istante, mentre il treno prosegue il suo corso nella notte senza fine.