«Il Duomo e via Manzoni si vestono di grigio III» © Ornella Burchianti
Testo di Fabrizio Razzauti
Persone camminano per un’elegante strada cittadina, molte da sole, con testa china assorte nei loro pensieri, altre impegnate dai numerosi impegni quotidiani. Il selciato è bagnato e l’abbigliamento fa pensare all’autunno. Il bianco e nero accentua l’atmosfera di grigiore, la malinconia e l’incomunicabilità dei giorni nostri. Gli innamorati che si stringevano le mani in cerca di un posto solitario per farsi dolci promesse nella canzone “Autunno a Milano”, oggi si stringono vicini solo per farsi un selfie.
Testo di Barbara Pierro
La Sinfonia delle Pietre e degli Anonimi
Nell’opera fotografica “Il Duomo e via Manzoni si vestono di grigio III” di Ornella Burchianti, ci troviamo di fronte a un dipinto senza colori, un ritratto senza tempo, un’invocazione visiva che attinge alla potenza dell’eterna contrapposizione tra il permanere e il fuggevole. In questo scatto in bianco e nero, la città stessa respira, si contrae e si espande in un’armonia fatta di luce e ombra, di movimento e staticità, come un cuore che pulsa nelle viscere di una Milano antica e moderna al contempo.
Il Duomo, colosso gotico che si staglia maestoso verso il cielo, non è solo un testimone di pietra, ma un cantore silenzioso delle storie di tutti coloro che hanno calcato questi selciati. Le sue guglie, appuntite come le dita di un veggente, sembrano indicare direzioni celesti, chiamando l’occhio a sollevare lo sguardo oltre il frastuono della quotidianità, oltre il caos dell’umano. In questo abito di grigio, il Duomo si fa custode delle nebbie del passato, delle preghiere senza nome e delle urla soffocate che echeggiano tra le sue navate e sotto il suo marmo candido che, privo di colori, diventa tela per ogni possibile immaginazione.Via Manzoni, strada che si allunga come una promessa non detta, appare in questo scatto come un fiume urbano che scorre senza tregua. È un percorso di anime in movimento, ognuna intrisa di un viaggio interiore, di un’esistenza singolare. I passanti sono ombre che attraversano il tempo e lo spazio, figure evanescenti che appaiono e scompaiono in un ritmo simile a quello delle maree. Essi sono il simbolo di un’umanità in perpetuo divenire, persa nei suoi pensieri, nei suoi cellulari, nei suoi incontri mancati e nelle sue mete sempre sfuggenti. Ma è nel contrasto tra l’immobilità imponente del Duomo e la fuggevolezza dei passanti che si manifesta la vera potenza dell’immagine. Il bianco e nero, scelto con sapienza, amplifica il senso di una città che non conosce stagioni, che si veste ogni giorno dello stesso manto di grigi e che sembra sospesa in un limbo tra l’eternità e l’istante. È come se il tempo stesso, nel momento in cui l’otturatore si chiude, venisse cristallizzato, trattenuto in un battito di ciglia che racchiude secoli. Burchianti, con la sua capacità di cogliere l’essenza delle cose non dette, ci invita a guardare oltre l’evidenza del paesaggio urbano. Non è solo la rappresentazione di un luogo, ma la cattura di un’essenza spirituale, di un’anima cittadina che parla attraverso il linguaggio delle ombre e dei riflessi. Le facciate dei palazzi, specchi opachi di sogni infranti e ambizioni mai realizzate, si ergono come scenografie di un teatro invisibile, dove i veri protagonisti sono i passi, i sospiri e le traiettorie di chi vi transita, sfuggendo all’oblio per un istante.Ogni dettaglio, ogni angolo, ogni sfumatura di grigio si fa portavoce di una bellezza sottile, non appariscente, una bellezza che risiede nella somma delle parti e nei vuoti tra di esse. C’è un che di mistico nella visione di questi spazi occupati e abbandonati nel medesimo momento, come se la fotografia stessa potesse aprire una finestra su un altro piano di realtà, uno spazio interiore dove ogni passer-by non è solo un individuo, ma un simbolo di un’esistenza più ampia, un richiamo all’umanità intera. La fotografia di Burchianti è, dunque, un’opera che va oltre la semplice rappresentazione visiva; è un poema in chiaroscuro, una preghiera senza parole rivolta al cielo e alla terra, un richiamo al sacro che alberga nel profano del quotidiano. Le guglie del Duomo e le ombre dei passanti si fondono in un’unica sinfonia, una musica silenziosa che risuona nel cuore di chi sa fermarsi a contemplare, di chi è disposto a vedere non solo con gli occhi, ma con l’anima.E così, in questo scatto, il Duomo e via Manzoni non sono più semplici luoghi; diventano archetipi di un viaggio ancestrale, simboli di un cammino che ci accomuna tutti, dal più umile pellegrino al più disincantato cittadino. Sono la testimonianza di un’umanità che, pur continuando a muoversi freneticamente, non può sfuggire alla quiete eterna della pietra, alla memoria imperitura di ciò che è stato e di ciò che, forse, sarà.