di Fabrizio Razzauti
La fotografia di Luisa Montagna, intitolata «Il Bunker» richiamaun paesaggio distopico che sembra trasportare lo spettatore in una dimensione onirica e sospesa nel tempo. L’immagine è dominata da una struttura massiccia e solitaria, un bunker che si staglia al centro della scena, apparentemente vuoto e abbandonato, ma carico di una presenza inquietante. Sullo sfondo, un paesaggio sfocato e desaturato avvolge la scena, contribuendo a creare un’atmosfera di isolamento e mistero. In primo piano, una figura umana sfocata si dirige verso il bunker, come se fosse attirata da esso o costretta ad avvicinarsi.
Il bunker potrebbe essere simbolo di una realtà nascosta o di un passato che incombe e che non può essere completamente abbandonato. La struttura, solida e monolitica, è una testimonianza silenziosa di un tempo passato, di conflitti o momenti storici avvenuti ma che continuano a lasciare una traccia, un’ombra che persiste sia nel paesaggio che nella memoria. Questa scena sembra rappresentare un paesaggio mentale, un riflesso dei ricordi o dei traumi collettivi che rimangono sepolti ma non del tutto dimenticati.
La scelta del bianco e nero contribuisce a creare un effetto surreale e distaccato, quasi come se l’immagine fosse una reminiscenza o una visione. La mancanza di dettagli nitidi, soprattutto nella figura umana, trasmette un senso di smarrimento, come se l’uomo fosse solo un frammento di una storia più grande, un esploratore che si muove all’interno di un mondo distorto e indefinito. La sfocatura e la nebbia che avvolgono la scena aggiungono una sensazione di mistero, suggerendo che la realtà stessa è distorta e sfuggente, e che questo paesaggio non è un luogo concreto, ma uno spazio simbolico in cui si manifestano paure, memorie e riflessioni.
L’aspetto distopico dell’immagine suggerisce una critica alle eredità del passato e alla tendenza umana a costruire simboli di difesa o isolamento, come i bunker, che finiscono per diventare monumenti vuoti, relitto di un’epoca che ha perso il suo significato originario. Il bunker, qui, rappresenta il lato oscuro della storia, un ricordo della distruzione collettiva, mentre la figura umana con postura un po’ incerta è simbolo di chi cerca di confrontarsi con questo passato, pur restando avvolto in un’incertezza esistenziale.
La fotografia diventa una riflessione sul senso di disorientamento e di smarrimento che caratterizza l’era contemporanea. La figura umana, avvolta nella foschia, rappresenta l’individuo in cerca di significato in un mondo post-apocalittico, spinto verso un simbolo che oltretutto non offre risposte ma solo domande. In questo senso, «Il Bunker» e il paesaggio diventano un lato-B della civiltà stessa, una metafora di ciò che rimane quando le certezze svaniscono e ci si confronta con le rovine, sia fisiche che psicologiche, rappresentando un viaggio nella coscienza umana, un’indagine su ciò che resta quando ci si confronta con il passato e le sue ombre. L’autrice invita lo spettatore a riflettere sul rapporto tra presente e memoria, tra ciò che è stato e ciò che continua a persistere, silenzioso e incombente.