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Inversione totale © Simona Viscioni

di Fabrizio Razzauti

La fotografia di Simona Viscioni rappresenta un oggetto che è allo stesso tempo familiare e distante: una pellicola fotografica in bianco e nero, srotolata e adagiata su una superficie ruvida. L’immagine cattura il lato materiale e tangibile della fotografia, un mondo analogico fatto di texture e fisicità, che sembra ormai appartenere al passato, ma che qui viene rievocato con un tocco poetico e un po’ malinconico.

Il “lato B” di questa fotografia si nasconde nel concetto stesso di inversione, di rovesciamento. La pellicola è, per definizione, il lato nascosto della fotografia, quel supporto in cui l’immagine si imprime ma rimane quasi celato fino allo sviluppo. Ciò che si vede nella pellicola non è l’immagine reale, ma la sua inversione, la sua versione negativa, che si mostra solo come ombra di quello che diventerà, come traccia potenziale di un ricordo o di un momento congelato.

Simona Viscioni ci invita a riflettere su ciò che la fotografia cattura e su ciò che invece sfugge. La pellicola avvolta su se stessa richiama alla mente il concetto di memoria che si avvolge, si arrotola, e nasconde qualcosa di essenziale sotto la superficie. È un’esplorazione del mezzo fotografico stesso come “lato B” della realtà: una rappresentazione che è, in fondo, solo un riflesso, un’immagine speculare e incompleta del vissuto. L’immagine trasmette un senso di nostalgia per la fisicità del mezzo fotografico tradizionale, per quel processo manuale e alchemico che portava alla rivelazione dell’immagine. La texture della pellicola e del tavolo, i riflessi, le ombre e la scala dei grigi creano un’atmosfera intima, come se l’opera ci stesse raccontando un segreto, qualcosa che si trova solo sull’altro lato del mondo visibile.

In sintesi, questa fotografia ci parla della realtà che si cela dietro il visibile, del tempo sospeso e del ricordo incompleto che ogni immagine analogica porta con sé. L’altro lato è il mistero dell’immagine stessa, la sua origine invisibile che, nonostante tutto, rimane sempre parzialmente celata, un segreto custodito nella pellicola.

Pensieri II © Alessandro Torri

di Fabrizio Razzauti

La fotografia di Alessandro Torri, che ritrae un uomo anziano seduto all’interno di un barbiere vuoto, offre uno spaccato di quiete, un momento di intima riflessione colto dall’obiettivo in modo discreto e rispettoso. La scena dà una sensazione di attesa e di immobilità, enfatizzata dal bianco e nero che rende senza tempo l’immagine, riportando lo spettatore a un’epoca in cui la vita scorreva più lentamente. La scelta di rappresentare l’immagine attraverso il vetro, con i riflessi e le trasparenze, aggiunge distanza, quasi a voler rispettare il silenzio dei pensieri del soggetto.

Interpretando l’ immagine come l’altro lato, possiamo trovare il ritratto di un mondo interiore nascosto, un momento di solitudine che rappresenta i pensieri e i ricordi di una vita. L’uomo sembra assorto, quasi scollegato dall’ambiente che lo circonda. Forse sta ricordando qualcosa del passato, o semplicemente godendo della quiete di un momento ordinario. Il barbiere, luogo di incontri e socialità, appare qui trasformato in uno spazio di introspezione e isolamento, dove l’unico spettatore è l’obiettivo fotografico che, senza disturbare, cattura questo frammento di esistenza. Questa scena può essere interpretata come una riflessione sul tempo che scorre. L’anziano nel barbiere vuoto incarna l’essenza di un’età in cui la compagnia è spesso sostituita dai ricordi, dove la vita sociale si riduce a pochi incontri occasionali, e i momenti di riflessione diventano più frequenti e significativi. La fotografia diventa così una finestra non solo sull’esterno, ma anche sul mondo interiore del soggetto, un “altrove” mentale in cui si rifugia lontano dal caos e dalla velocità del mondo esterno.

La composizione e la scelta del bianco e nero richiamano lo stile documentaristico e la sensibilità per la vita quotidiana, catturata con attenzione ai dettagli e senza artifici. La semplicità della scena, priva di decorazioni o distrazioni, rende l’immagine potente nella sua essenzialità. È un ritratto di una vita semplice, di una routine che si ripete, ma che al tempo stesso racchiude una profondità inaspettata, fatta di storie non dette e di esperienze che si accumulano nel silenzio.

L’autore Alessandro Torri ci invita a riflettere sulla bellezza nascosta nei momenti di tranquillità e sui pensieri che emergono nei momenti di solitudine. Il B-Side di questa immagine è l’incontro tra esterno e interno, tra il barbiere e il mondo interiore dell’uomo, che appare come un simbolo della condizione umana, fatta di attesa, memoria e introspezione. Attraverso questa immagine, Torri riesce a raccontare una storia di vita silenziosa, restituendo dignità e valore ai piccoli momenti di un’esistenza ordinaria.

Gratta e vinci © Francesca Fornaciari

di Fabrizio Razzauti

La fotografia di Francesca Fornaciari coglie un momento che, a prima vista, appare ridicolo o persino grottesco, ma che in realtà nasconde un lato B di profonda riflessione sociale. L’uomo, seduto sul wc in un comune bagno domestico, è circondato da una distesa di gratta e vinci, alcuni ancora nelle sue mani, altri sparsi sul pavimento. Il suo aspetto non curato e l’espressione abbattuta parlano di una sconfitta silenziosa, di un momento intimo che sembra rappresentare un fallimento e un’illusione.

La scelta del bagno come ambientazione non è casuale: è uno spazio privato, dove l’uomo è lontano dallo sguardo degli altri. Qui, in questa stanza che spesso è un luogo di riflessione e di isolamento, si consuma la sua lotta contro la speranza effimera del gioco d’azzardo, un’illusione di riscatto dalla quotidianità che però lascia solo vuoti, rappresentati dai biglietti scartati sul pavimento.

L’ immagine diventa un’analisi della disperazione e dell’ossessione: l’uomo, probabilmente sognando una vita diversa, si è abbandonato alla tentazione del gioco, ma i biglietti non sono altro che simboli di speranze infrante, di soldi e sogni che si volatilizzano in pochi istanti. Il gratta e vinci diventa qui una metafora della ricerca della fortuna facile, del desiderio di uscire dalla mediocrità senza successo.

Francesca Fornaciari è bravissima a trasmettere un forte senso di malinconia e di crudo realismo attraverso questa composizione a prima vista ridicola. Il lato B della vita è qui incarnato in un momento di solitudine, un’illusione spezzata che si ripete ogni volta che si gratta un nuovo biglietto, nella speranza vana che possa cambiare qualcosa. Lo scatto offre un pensiero amaro sulla disperazione silenziosa di chi cerca una via d’uscita dai propri limiti e fallimenti, mostrando come spesso il prezzo dell’illusione sia il dolore della realtà.

Io oggi esco © Marina Ciriaci

di Fabrizio Razzauti

La fotografia di Marina Ciriaci, scattata con una macchina fotografica del 1930, è una finestra visiva su un “altrove” che combina elementi di passato e presente, luce e ombra, vita e decadenza. L’utilizzo di una macchina fotografica d’epoca conferisce all’immagine un aspetto profondamente materico, dove la grana, le imperfezioni e le sfumature del bianco e nero aggiungono alla scena una qualità quasi tattile. Il soggetto sembra essere una struttura abbandonata, in cui il pavimento è cosparso di frammenti e detriti, mentre oltre le finestre si intravede la natura rigogliosa che tenta di riprendersi lo spazio.

Interpretata come “B-Side” questa fotografia diventa un’esplorazione dell’abbandono e della trasformazione. La scelta di immortalare un luogo decadente, attraverso uno strumento antico, trasmette un senso di nostalgia e perdita, ma anche di resilienza e speranza. Il “lato-B” in questo caso rappresenta ciò che è stato dimenticato, lasciato in disparte dalla modernità e dal progresso. Eppure, attraverso l’obiettivo della Ciriaci, questa struttura derelitta riacquista un’anima, diventando un simbolo della memoria e della storia che persistono nonostante il tempo e l’abbandono.

La composizione gioca con la luce che filtra attraverso le finestre, proiettando ombre geometriche che si intrecciano con i detriti sul pavimento. La luce che entra rappresenta un contrasto con l’oscurità circostante, quasi come se questo spazio dimenticato venisse momentaneamente risvegliato dalla presenza dell’obiettivo, portando alla luce una storia silenziosa ma intensa. La presenza della natura fuori dalla finestra, verde e rigogliosa, aggiunge un ulteriore livello di significato: il tempo passa, la vita continua a crescere anche quando l’uomo si allontana, e la natura si riconcilia con ciò che l’uomo ha lasciato alle sue spalle.

Scattata con una macchina del 1930, la fotografia invita anche a una riflessione sul valore del passato e sull’importanza della lentezza, della pazienza e dell’attenzione ai dettagli. In un’epoca di tecnologia rapida e scatti digitali infiniti, questa immagine ci riporta a una dimensione più lenta, dove ogni scatto è ponderato, ogni istante catturato ha un peso specifico. Il “lato-B” diventa allora anche un discorso sul valore dell’artigianalità, sulla bellezza intrinseca di strumenti imperfetti che rivelano la realtà con un’intensità che le tecnologie moderne spesso non possiedono. In conclusione, la fotografia di Marina Ciriaci è molto più di una semplice immagine di un luogo abbandonato; è una riflessione visiva sul tempo, sull’abbandono e sulla resilienza, rivelando la bellezza nascosta nelle cose dimenticate, nei luoghi che portano ancora i segni di chi li ha abitati e nei dettagli che emergono solo quando si osserva con attenzione. Attraverso l’uso di una macchina fotografica storica, Ciriaci ci invita a riscoprire la poesia della rovina e la forza del passato, rendendo omaggio a ciò che resta anche quando tutto sembra essersi fermato.

Scorci nascosti Napoli © Claudia Ceccherelli

di Fabrizio Razzauti

La fotografia di Claudia Ceccherelli coglie un angolo di Napoli che solitamente rimane nascosto agli occhi di chi passa, uno scorcio a metà tra il familiare e il dimenticato. Il “lato B” della città, in questo scatto, emerge con tutta la sua forza e autenticità, restituendo un’immagine vera e cruda della vita che si cela dietro le facciate curate e le piazze affollate.

L’inquadratura è sapientemente giocata sui contrasti di luce e ombra: i toni scuri e la penombra delle scale e degli angoli meno esposti si contrappongono alla luce che filtra dall’alto, creando un’atmosfera intima e quasi sospesa nel tempo. Il bucato appeso, con i suoi panni leggeri e disordinati, è un dettaglio che racconta la quotidianità di un luogo vissuto, semplice, lontano dalle costruzioni di facciata che solitamente caratterizzano le immagini delle grandi città. Ceccherelli sembra qui voler esplorare la dimensione di un vivere umile, a tratti trascurato, che però possiede una propria bellezza segreta, un altro lato che non si svela immediatamente, ma che richiede attenzione e un occhio sensibile. La scala consunta e i muri scrostati non raccontano solo decadenza, ma anche la resistenza silenziosa di uno spazio abitato che porta le tracce del tempo e della vita, un “altrove” rispetto al centro appariscente.

In sintesi, questa fotografia rappresenta un’ode ai dettagli nascosti, un invito a guardare oltre la superficie, a scoprire ciò che si cela nelle pieghe della città. È un esempio di come, attraverso la lente attenta dell’autrice, si possa celebrare il valore estetico e narrativo di un “lato B” che, altrimenti, rischierebbe di rimanere invisibile.

L’attesa © Antonella Balzano

di Fabrizio Razzauti

La fotografia di Antonella Balzano, intitolata L’attesa, è un potente ritratto della dicotomia sociale e delle contraddizioni della realtà contemporanea. L’immagine cattura, in bianco e nero, un angolo di strada dove probabilmente una persona senza fissa dimora riposa accanto ad un’insegna pubblicitaria natalizia. La pubblicità raffigura un albero di Natale addobbato e una frase che recita: “Quel che rende speciale il Natale è l’attesa”. L’ironia di questo messaggio, accostato alla scena reale di chi vive ai margini, evidenzia un contrasto doloroso tra l’ideale e la cruda realtà della vita.

La fotografia si fa specchio delle disparità sociali, un’immagine che mette in discussione il concetto stesso di «attesa» e di «festa». Da un lato, l’attesa viene proposta come qualcosa di magico e positivo, legato alle luci, ai regali e alla famiglia, tipico delle festività natalizie. Dall’altro, questa stessa parola assume un significato profondamente diverso per chi vive in strada, dove l’attesa è priva di speranza, fatta di freddo, isolamento e insicurezza. La fotografia ci porta dunque a riflettere su come lo stesso concetto possa avere connotazioni diametralmente opposte in base alle condizioni di vita di ciascun individuo.

La composizione è essenziale e simbolica: il contrasto tra la figura nascosta da una coperta e l’insegna luminosa trasmette un forte senso di disuguaglianza. Il bianco e nero accentua questo divario, eliminando le distrazioni cromatiche e focalizzando l’attenzione sull’essenza dell’immagine. I dettagli, come il cartello con la scritta «Dormo in strada. Aiutatemi, grazie mille» rivelano l’umanità e la dignità di chi chiede aiuto in un sistema che lo ignora. L’insegna, invece, rappresenta il mondo consumistico e privo di umanità che celebra il Natale come una festa di sperpero e abbondanza, dimenticando coloro che vivono ai margini.

L’immagine di Balzano esplora il lato-B delle festività, mostrando ciò che solitamente viene nascosto o ignorato: la povertà, la solitudine e l’indifferenza sociale. La composizione diventa una critica silenziosa alla società moderna, che celebra il Natale con luci e slogan, ma spesso trascura l’aspetto umano e solidale. Il cartellone pubblicitario fa da cornice a una scena di esclusione, trasformando l’attesa in un concetto amaro e vuoto per chi non ha un tetto sopra la testa.

In questo senso, L’attesa diventa un manifesto visivo sulla fragilità e la disuguaglianza, uno specchio della società in cui convivono lusso e privazione, speranza e disperazione. Il “lato-B” dell’immagine è l’invito a guardare oltre le facciate luccicanti delle festività, a riconoscere la realtà di chi, nell’ombra delle strade, non attende regali ma gesti concreti di solidarietà.

La fotografia di Antonella Balzano colpisce per la sua intensità e semplicità, trasmettendo un messaggio universale con un impatto diretto. È un richiamo a non dimenticare coloro che vivono nell’indigenza e a riflettere sul vero significato del Natale, oltre il consumismo e le luci sfavillanti, per riscoprire il valore dell’empatia e della cura verso il prossimo.

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