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…Percorsi… la mostra di Roxane Scaperrotta

27 settembre – 12 ottobre 2024

La Mostra “…PERCORSI…” di Rossana Scaperrotta traccia esperienze di vita che si sono delineate nell’arco degli ultimi cinque anni. Con la presentazione dei suoi quadri, l’artista ha voluto comunicare, attraverso l’applicazione di varie tecniche pittoriche, la storia evolutiva ed artistica che l’ha caratterizzata.
La Scaperrotta evidenzia nelle proprie opere un animo sensibile e un tratto deciso. I temi rappresentati sono molteplici, tra questi: il tema della guerra, il tema dell’immigrazione e del coraggio che serve per abbandonare la propia terra in cerca di un futuro in un territorio sconosciuto, il dramma della morte, la bellezza della maternità.
Di grande forza sono i quadri paesaggistici.

Rossana Scaperrotta nasce ad Ariano Irpino, provincia di Avellino, il 28 gennaio 1955. Fin dai primi anni si evidenzia la sua predisposizione alla creatività. La sua attività professionale (Caposala presso il Frangipane) non la distoglie da una ricerca interiore che la porta a frequentare i laboratori artistici della prof.ssa Rosalba Albanese e del maestro Lello Albanese, dai quali apprende alcune tecniche pittoriche e dell’arte ceramica. Dal 1997 fa parte dell’associazione culturale “Vicoli ed Arte” fondata dall’arch. Carmine Iuorio e tesa alla valorizzazione dei vicoli e delle arti del suo paese, Ariano Irpino, noto anche per la tradizione ceramista.
Si appassiona alla composizione di opere originali utilizzando pietre marine raccolte soprattutto dalla bellissima costa cilentana. Nel 2019, libera ormai da impegni professionali, si dedica alla sua passione e si iscrive all’Atelier del maestro Mario Ferrante a Benevento. Grazie al sostegno e all’aiuto del maestro Ferrante, acquisisce e perfeziona molte tecniche pittoriche.
Il 28 maggio 2022 presenta la sua Mostra di pittura dal titolo “Tunnel” presso la Rocca dei Rettori, Sala dell’Acquedotto Romano, di Benevento. L’8 agosto 2022 partecipa alla Mostra collettiva di arte contemporanea presso il Museo Civico e della Ceramica, Polo Didattico e Scientifico di Ariano Irpino. Il 24 febbraio 2023 partecipa alla Mostra collettiva “Atelier d’Arte” Mario Ferrante presso la Rocca dei Rettori di Benevento.
I temi delle sue opere spaziano dai paesaggi agli eventi di grande attualità.

Il Maestro Mario Ferrante su Rossana
«…le tele ed i disegni di Rossana Scaperrotta celano sempre una cifra di sapore onirico . È una forza silente che, spesso, emerge come valore primario dell’opera.
La narrazione di ogni situazione è trascritta con accuratezza cromatica ( la figura emerge in modo preponderante anche nei temi paesaggistici) come le impennate emozionali appaiono sempre calibrate da costruzioni rigorose. Il risultato è un’indagine razionale ed efficace , però ad uno sguardo più attento, è possibile constatare quanto l’applicazione di tecniche dal sapore “classico ” permettano libertà più ardite per racconti di grande effetto sensoriale.
Questa mostra raccoglie opere che accompagnano il visitatore suggerendo le emozioni che segnano il cammino di questa artista emergente , ma conferma il suo valore che è già traccia di un futuro con successi ad ampio raggio.»

Inaugurazione della Mostra venerdì 27 settembre alle ore 18 negli spazi di Extra a Livorno in piazza della Repubblica (angolo Pina d’Oro). La mostra sarà visitabile fino a sabato 12 ottobre tutti i giorni con orario 10.00-12.00 e 17.30-20.00 (escluso il martedì e la domenica mattina)

Spontanee Speranze, la mostra di Enrico Ristori

27 settembre – 12 ottobre 2024

Inaugurazione mostra venerdì 27 settembre ore 18

Enrico Ristori sempre più affascinato dalle emozioni umane e dal loro legame con la natura, dipinge opere che raccontano i personaggi del suo mondo. Le sue figure, immerse in scenari quotidiani spesso ambientati dall’amato elemento marino, alternano momenti di riflessione e introspezione. La sua tecnica pittorica, densa e materica, si distingue per pennellate vigorose e un uso del colore sempre più consapevole, che gli consente di esprimere non solo i suoi pensieri, ma anche quelli di chi gli gravita intorno. Con grande sensibilità, Ristori invita l’osservatore a riflettere su ciò che accade nel mondo. Le atmosfere delle sue opere spaziano dalle intense e quasi meditative scene notturne, a momenti di pace e contemplazione, fino a situazioni di grande dinamismo e movimento. Ogni opera sembra sospendere il tempo, permettendo al soggetto di immergersi non solo nella natura e nell’ambiente circostante, ma anche nei propri pensieri, che finiscono per diventare quelli di chi osserva.

La mostra sarà visitabile fino a sabato 12 ottobre tutti i giorni con orario 10.00-12.00 e 17.30-20.00 (escluso il martedì e la domenica mattina)

«Hanno distrutto le tue speranze» © Nelita Specchierla

Testo di Fabrizio Razzauti

Una donna con un’espressione triste e pensierosa, avvolta in un maglione spesso ripresa in un momento di profonda introspezione e malinconia, con capelli scompigliati che incorniciano il viso serioso. L’atmosfera generale è cupa, accentuata dalla scelta del bianco e nero, che enfatizza le ombre e i contrasti, conferendo all’immagine un senso di drammaticità e intensità emotiva. La composizione e l’uso della luce accentuano l’essenza della vulnerabilità umana con grande sensibilità e dignità.

Testo di Barbara Pierro

L’Oblio delle Speranze: Una Cronaca del Silenzio
“Hanno distrutto le tue speranze” — e in quell’affermazione, così assoluta, si apre un abisso che risuona come un gong che spezza il silenzio. Le parole cadono pesanti, come pietre scagliate in uno stagno immobile, creando cerchi che si allargano fino a dissolversi nei confini del non detto. È il lamento di un’umanità ferita, il grido soffocato di sogni che si sgretolano sotto il peso del disincanto, e il sussurro di promesse infrante che si perdono nelle pieghe di un tempo che non perdona.
Cosa resta, quando le speranze vengono distrutte? Resta il vuoto, certo, ma un vuoto che pulsa, che geme, che rifiuta di essere ignorato. È un vuoto abitato, un’assenza che brucia come una ferita aperta nel tessuto dell’anima. Sono le aspettative che si ripiegano su se stesse, come ali spezzate di un uccello che non vedrà mai il cielo. È la luce che si spegne in uno sguardo, il tremore di una mano che non trova più nulla da afferrare, il respiro trattenuto di chi ha già rinunciato a sperare.Eppure, in questa rovina c’è una dignità feroce, un’ostinata resistenza alla resa totale. È il canto funebre delle speranze, che non si lasciano dissolvere senza lottare, senza lasciare una scia di luce fioca in un angolo della coscienza. È la memoria del desiderio, che persiste come un’ombra lunga al tramonto, un’eco che si rifiuta di morire. È il fragile filo d’oro che tiene insieme i pezzi di un mosaico distrutto, un filo che non cede, che non si spezza del tutto, neppure sotto il peso del disincanto. La distruzione delle speranze è un atto violento, un urto sordo che lascia cicatrici invisibili, ma non sempre irreparabili. Perché anche nel più profondo dei crepacci può insinuarsi un germoglio di luce, un accenno di rinascita. È il paradosso dell’esistenza: che nella distruzione si cela sempre una possibilità di ricostruzione, che sotto le macerie dei sogni infranti può germogliare il seme di una nuova speranza, fragile, imperfetta, ma autentica.Così, mentre le tue speranze giacciono spezzate ai tuoi piedi, non è solo la fine che si svela, ma anche un inizio, sottile come un respiro, discreto come un battito di ciglia. È la vita che insiste, che si fa strada attraverso le crepe, che riprende a scorrere dove meno te lo aspetti. È un atto di sfida silenzioso, un’affermazione di esistenza che si oppone alla fine. E forse, in questo, c’è una forma di speranza che va oltre la speranza stessa, che trascende il suo destino, e persiste, ostinatamente, come una luce fioca in una notte senza stelle.

«Maestitia» © Patrizia Riviera

Testo di Fabrizio Razzauti

L’immagine mostra una figura umana maschile, leggermente sfocata, in un contesto che evoca un’atmosfera surreale e misteriosa. La sfocatura e i toni in bianco e nero contribuiscono a creare un senso di movimento e indefinitezza, rendendo l’immagine quasi un’opera pittorica. L’utilizzo della sfocatura e i contrasti forti creano un’atmosfera onirica e inquietante. La figura centrale e i contorni indistinti, fanno apparire il soggetto quasi come un’ombra evanescente in un ambiente enigmatico. I confini tra soggetto e ambiente diventano fluidi e indistinti, creando un senso di vulnerabilità e transitorietà. L’uso del bianco e nero e l’alta grana dell’immagine, rendono la figura in movimento attraverso un’altra dimensione, quasi come un’ombra che si dissolve nel tempo.

Testo di Barbara Pierro

Un uomo cammina, ma non cammina; fluttua come un pensiero intrappolato tra il sonno e la veglia, come un ricordo che si dissolve ancor prima di essere afferrato. È figura sfuggente, evanescente, un’increspatura nell’oscurità che non svela, ma cela. Il suo volto è un’eco di volti perduti, un riflesso sfocato di identità sfibrate, inghiottite dalla marcia inesorabile del tempo. La linea che separa il suo corpo dallo spazio è una soglia impalpabile, un confine che esiste solo per essere varcato, cancellato, come l’inchiostro nero che si diffonde su una pagina bianca, sottraendo luce al giorno, senso al visibile.In questo movimento smorzato, in questo incedere incerto, c’è tutto il peso di un’esistenza mai del tutto presente, sempre sul punto di dileguarsi in un altrove che non si conosce, che non si sa. La sua maestà è quella dei naufragi silenziosi, dei sogni abortiti all’alba, delle storie mai raccontate. È un monumento all’effimero, una statua scolpita nel buio, il cui contorno si perde in una danza di ombre e luci spezzate. Nulla è definito, nulla è concreto; tutto è in uno stato di perpetua fluttuazione, un dialogo muto tra il visibile e l’invisibile, tra il presente e l’assenza.L’uomo, o ciò che resta di lui, è un enigma in movimento, una risposta inespressa ad una domanda mai posta. È l’antitesi dell’eroe, la negazione della forma, un corpo che esiste solo nell’atto del passaggio, nella sfumatura impercettibile tra un prima e un dopo che non troveranno mai un appiglio nel reale. Ogni passo è una caduta, ogni caduta un nuovo inizio, un ciclo eterno che non promette nulla se non il perpetuarsi della stessa fuga, dello stesso smarrimento.E così, nell’oscurità che lo avvolge, si compie il rito della sparizione, della resa all’indefinito. Ma in quella stessa sfocatura, in quella dissolvenza graduale, c’è una strana, inesplicabile bellezza. È la maestitia del disfacimento, la gloria di ciò che non sarà mai interamente posseduto. È l’uomo che cammina, senza lasciare traccia, senza voltarsi indietro, sospeso tra la memoria e l’oblio, in una notte che non conosce alba, ma solo la promessa di un altro passo, un altro respiro, un altro momento che sfugge, sempre un attimo prima di diventare eterno.

«Io sono un condannato a morte come Te» © Simona Viscioni

Testo di Vanni Pandolfi

All’interno di uno scenario metafisico una Donna sorregge e trasporta un Uomo stanco, senza forze, impossibilitato nel continuare il suo cammino, sul faticoso percorso della Vita. E’ il nostro destino, quello di essere condannati a morte, ma l’amore è sostegno, prendersi cura dell’altro, unione di forze e protezione, camminando insieme nella luce. E l’ombra sottostante le due figure testimonia la fusione in un unico essere, una nuova entità olistica che supera generi e differenze capace senza alcun dubbio di affrontare quel destino in maniera più tranquilla e sicura. 

Testo di Barbara Pierro

Il duetto delle ombre. Nel cuore del buio, dove la luce s’insinua appena, come un respiro di vita che sfiora il confine dell’eternità, Simona Viscioni cattura l’essenza di una lotta antica quanto il tempo. Due figure si stagliano, nude e vulnerabili, nell’ovale di luce che le accoglie come un palcoscenico sacro, un altare profano eretto all’effimero e al sublime. Sono guerrieri senza armi, amanti senza volto, anime legate da un destino comune: la condanna alla vita, la danza del vivere che è sempre sospesa sull’orlo del nulla.Il silenzio è il terzo protagonista, denso e palpabile, riempie l’aria con la sua presenza incombente. La luce, tagliente e crudele, ne delinea i contorni, enfatizzando ogni curva e muscolo, mentre l’ombra si espande sotto i loro piedi, come una voragine pronta a inghiottirli. E una scena di intima dualità, un intreccio tra il divino e l’umano, il chiaro e lo scuro, l’essere e l’apparire. Come marionette che sfidano i fili del loro burattinaio, le due figure sembrano gravitate in un abbraccio che è al contempo salvezza e condanna. Viscioni non ci racconta una storia, ma un mito riemerso dalle profondità dell’inconscio collettivo, un racconto che parla di noi, del nostro esserci, sospesi in una luce che è sempre destinata a svanire. “lo sono un condannato a morte come Te” è il grido muto di chi ha compreso l’inevitabile e vi danza sopra con una grazia dolente, l’elegia di un incontro che è destinato a perdersi nella penombra.In questo duetto senza tempo, non c’è vincitore né vinto, solo la perpetua tensione di corpi che si sollevano e si sorreggono, sfidando la gravità della propria esistenza. È il dramma del vivere, il gesto eroico del resistere, l’abbandono all’altro che è riflesso di sé. Ogni linea tracciata dalla luce, ogni segno inciso nell’ombra, ci ricorda la bellezza e la fragilità del nostro stare al mondo. La fotografia di Simona Viscioni è un inno all’umanità, nella sua nudità e nella sua imperfezione, un’opera che risuona come una preghiera laica, un sussurro che echeggia tra le navate dell’invisibile. Qui, nel ventre dell’oscurità, dove l’eco delle ombre narra storie senza voce, comprendiamo che siamo tutti condannati a una bellezza irripetibile, a un vivere che brucia, silenzioso e intenso, tra le braccia della luce e dell’ombra, tra la nascita e la morte.Imo plauso per la preziosa condivisione di foto, intensa, potente, vibrante, emozionante!!!

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