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«Senza Tempo» la mostra di Alessandra Zocchi

Livorno, 19-31 ottobre 2024

Nuovo appuntamento con grafica e creazioni da riuso per la mostra «Senza tempo» dell’artista fiorentina Alessandra Zocchi presente all’inaugurazione di sabato 19 ottobre alle ore 17 negli spazi espositivi di Extra Factory a Livorno in piazza della Repubblica (angolo Pina d’Oro).

Le opere di Alessandra Zocchi affondano le radici nel piacere di esplorare e interagire con la materia, spinta dall’esigenza di manipolare, plasmare e trasformare materiali di scarto con le proprie mani. Il processo creativo si origina da un istinto, un bisogno di immergersi fisicamente nei materiali per dare loro nuova vita. L’attrazione dell’artista è quella di scoprire qualcosa di prezioso e raro, un tesoro che evoca il passato non solo nella sua forma, ma anche nel colore e nella natura stessa del materiale. Ogni frammento, anche il più piccolo e apparentemente insignificante, si rivela ai suoi occhi come un microcosmo, portatore di nuove possibilità e di una vita rinnovata. È attraverso l’assemblaggio che Alessandra riesce a restituire un senso di armonia e di equilibrio, un’eco di mondi lontani e dimenticati che, pur essendo caratterizzati da una precaria fragilità, resistono con forza alla distruzione e all’oblio. Questo processo artistico diventa così una celebrazione della memoria e una riflessione sulla transitorietà. L’artista riesce, attraverso i suoi lavori, a mantenere viva la memoria di un tempo perduto, catturando e conservando l’essenza di un passato che non può più tornare, ma che vive ancora nei materiali che riporta alla luce. La sua opera è un ponte tra presente e passato, una narrazione visiva che ci invita a riflettere sul valore della materia e sul significato del ricordo, trasformando ciò che è stato scartato in testimonianze preziose di un mondo che resiste, ancora e sempre, nella sua bellezza fragile.

Alessandra Zocchi nasce a Firenze dove vive e realizza le sue opere. Figlia d’arte, fin da piccola cresce in un contesto espressivo di produzioni fantastiche e immaginarie che la mettono in contatto con una molteplicità di materiali, pennelli, colori, stoffe, ferri, legni… che la incuriosiscono e nutrono la sua creatività. A 20 anni inizia a lavorare nel campo dell’educazione e subito resta affascinata dal modo in cui bambine e bambini esplorano, si stupiscono, si meravigliano manipolando oggetti e materiali; è proprio dal suo sguardo attento e costante sul mondo infantile che impara a far attenzione ai dettagli, alle piccole cose che ogni oggetto nasconde. Come autodidatta inizia la sua sperimentazione, disegnando linee e forme geometriche su carta e sassi, realizzando grafici insoliti e al tempo stesso rigorosi. La ricerca e la sperimentazione dei materiali persi, come lei chiama i materiali abbandonati all’usura del tempo, la porta, negli ultimi anni, a realizzare assemblaggi ispirati a borghi e a navi, paesaggi e barche inusuali, ma possibili nel suo mondo fantastico. Da alcuni anni frequenta a Firenze la scuola di grafica e incisione L’Armadillo diretta dal maestro Manuel Ortega dove ha sperimentato e acquisito interessanti tecniche incisorie che le hanno dato l’opportunità di intraprendere nuovi percorsi di esplorazione e ricerca artistica.

La mostra è visitabile fino a giovedì 31 ottobre con orario 10-12 e 17-19.30 (chiusa il martedì e la domenica mattina).

 

 

«Il deo ignoto – catabasi» di Prompt Dsgn

.: IL PROGETTO


Niente accade per caso; allora l’esistenza non è frutto di un caso caotico… Forse. Se ogni comportamento umano fosse determinabile come le orbite dei pianeti, allora la libertà sarebbe appannaggio di coloro i quali, in grado di sfuggire al martirio del compimento, riuscissero a svolgere l’arbitrio di esistere o arbitrariamente esisterebbero; purché tale destino non fosse stato previsto in alcuna visione oracolare o impresso nel codice genetico cui la mente attinge per determinare ogni compimento, altrimenti l’invenzione di uno sconosciuto non sarebbe concepibile, in quanto alterabile da un non meglio definibile inventore. Quest’ultimo, dubitando di poter concepire un’invenzione, metterebbe in crisi la logica stessa di ogni concetto concepito: il Dio ignoto. Questo nostro Dio ignoto. L’astrazione fornirebbe pertanto un alibi perfetto per determinare arbitrariamente l’invenzione di una libertà assoluta, incarnata nel concepimento di un personaggio di cui è impossibile cogliere la conoscenza o di cui sia impossibile concepirne l’invenzione: l’avvento. Il loop di sperimentazione evocato da ogni creazione prevarrebbe pertanto sulla ragione, e il laboratorio in cui tale incomputabile compiutezza volgerebbe al compimento frantumandosi in greti di un fiume circolare, appiattito e tridimensionale sgretolarsi. Se quindi niente accade per caso, inventare un concepimento prevederebbe che esso fosse inevitabilmente sconosciuto, altrimenti non sarebbe possibile inventarlo: questo è il nostro culto. Votàti in segreto al nostro divino Deo ignoto. Passando infatti ed osservando i monumenti del vostro culto, abbiamo trovato anche un’ara con l’iscrizione: <<al Dio ignoto. Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio>> perché Niente accade per Caso, così l’esistenza non è frutto di un caso caotico, ma l’ara cui ogni martire ha sacrificato la propria esistenza, votato al compimento inconcepibile di esser creatura: creazione e creatore disconosciuto.

L’ARTE È UN’INVENZIONE IN DIVENIRE,
NON UN MESSAGGIO COMPIUTO
NÉ IL FINE DI UN COMPIMENTO.

.: BIOGRAFIA


Il progetto Prompt Dsgn nasce nel disagio di un momento storico che ha profondamente segnato il mondo intero ed ha prodotto la volontà di sublimazione delle sensazioni provate. L’amore per le arti, in tale contesto, guardando all’idea platonica di kalòs kaì agathós (bello e buono), si mette in gioco con lo scopo di ricerca e con l’ambizione di superare il concetto accademico per lasciare spazio ad una modalità di creazione influenzata dal passato e dal presente, dalle forme di poetica letteraria, cinematografica, mitologica, filosofica, musicale. L’opera, dai pensieri, viene plasmata tramite la passione per la fotografia manipolata digitalmente attraverso il lavoro di computer grafica; l’elaborazione diversil’elaborazione dell’immagine viene poi riportata su diversi supporti quali tela, legno, metallo, cartone ecc; a completare la creazione vengono utilizzati colori ad olio, acrilici, spray, resine.
La poetica di Prompt Dsgn mira ad una sintesi tra astrattismo concettuale e immagine figurativa. L’uso materico dei colori ad olio e la plasticità dei corpi e delle statue attingono all’immaginario fotografico che ha influenzato il movimento impressionista e vagano sulle ali gitane di un surrealismo e un futurismo cui non è possibile prescindere. Gli stili si intrecciano come le passioni sbocciano, tra le labbra ed il tramonto della primavera dell’uomo, tra lo sfioro della coscienza e l’alba di una nuova era in cui la mente artificiale sembra poter offrire la soluzione ad ogni domanda. La curiosità di porsi domande lega ai pensatori del linguaggio e della poesia, agli esecutori dell’informale e si impregna dell’espressione che è inevitabile cogliere dai dipinti di Emilio Vedova ed Alberto Burri.

Inaugurazione della Mostra «Il deo ignoto – Catabasi» venerdì 30 agosto ore 18.30 negli spazi di Extra a Livorno (piazza della Repubblica, angolo Pina d’Oro). La mostra sarà visitabile tutti i giorni (martedì escluso) fino a venerdì 6 settembre con orario 18.30 – 22.30

«Hanno distrutto le tue speranze» © Nelita Specchierla

Testo di Fabrizio Razzauti

Una donna con un’espressione triste e pensierosa, avvolta in un maglione spesso ripresa in un momento di profonda introspezione e malinconia, con capelli scompigliati che incorniciano il viso serioso. L’atmosfera generale è cupa, accentuata dalla scelta del bianco e nero, che enfatizza le ombre e i contrasti, conferendo all’immagine un senso di drammaticità e intensità emotiva. La composizione e l’uso della luce accentuano l’essenza della vulnerabilità umana con grande sensibilità e dignità.

Testo di Barbara Pierro

L’Oblio delle Speranze: Una Cronaca del Silenzio
“Hanno distrutto le tue speranze” — e in quell’affermazione, così assoluta, si apre un abisso che risuona come un gong che spezza il silenzio. Le parole cadono pesanti, come pietre scagliate in uno stagno immobile, creando cerchi che si allargano fino a dissolversi nei confini del non detto. È il lamento di un’umanità ferita, il grido soffocato di sogni che si sgretolano sotto il peso del disincanto, e il sussurro di promesse infrante che si perdono nelle pieghe di un tempo che non perdona.
Cosa resta, quando le speranze vengono distrutte? Resta il vuoto, certo, ma un vuoto che pulsa, che geme, che rifiuta di essere ignorato. È un vuoto abitato, un’assenza che brucia come una ferita aperta nel tessuto dell’anima. Sono le aspettative che si ripiegano su se stesse, come ali spezzate di un uccello che non vedrà mai il cielo. È la luce che si spegne in uno sguardo, il tremore di una mano che non trova più nulla da afferrare, il respiro trattenuto di chi ha già rinunciato a sperare.Eppure, in questa rovina c’è una dignità feroce, un’ostinata resistenza alla resa totale. È il canto funebre delle speranze, che non si lasciano dissolvere senza lottare, senza lasciare una scia di luce fioca in un angolo della coscienza. È la memoria del desiderio, che persiste come un’ombra lunga al tramonto, un’eco che si rifiuta di morire. È il fragile filo d’oro che tiene insieme i pezzi di un mosaico distrutto, un filo che non cede, che non si spezza del tutto, neppure sotto il peso del disincanto. La distruzione delle speranze è un atto violento, un urto sordo che lascia cicatrici invisibili, ma non sempre irreparabili. Perché anche nel più profondo dei crepacci può insinuarsi un germoglio di luce, un accenno di rinascita. È il paradosso dell’esistenza: che nella distruzione si cela sempre una possibilità di ricostruzione, che sotto le macerie dei sogni infranti può germogliare il seme di una nuova speranza, fragile, imperfetta, ma autentica.Così, mentre le tue speranze giacciono spezzate ai tuoi piedi, non è solo la fine che si svela, ma anche un inizio, sottile come un respiro, discreto come un battito di ciglia. È la vita che insiste, che si fa strada attraverso le crepe, che riprende a scorrere dove meno te lo aspetti. È un atto di sfida silenzioso, un’affermazione di esistenza che si oppone alla fine. E forse, in questo, c’è una forma di speranza che va oltre la speranza stessa, che trascende il suo destino, e persiste, ostinatamente, come una luce fioca in una notte senza stelle.

«Maestitia» © Patrizia Riviera

Testo di Fabrizio Razzauti

L’immagine mostra una figura umana maschile, leggermente sfocata, in un contesto che evoca un’atmosfera surreale e misteriosa. La sfocatura e i toni in bianco e nero contribuiscono a creare un senso di movimento e indefinitezza, rendendo l’immagine quasi un’opera pittorica. L’utilizzo della sfocatura e i contrasti forti creano un’atmosfera onirica e inquietante. La figura centrale e i contorni indistinti, fanno apparire il soggetto quasi come un’ombra evanescente in un ambiente enigmatico. I confini tra soggetto e ambiente diventano fluidi e indistinti, creando un senso di vulnerabilità e transitorietà. L’uso del bianco e nero e l’alta grana dell’immagine, rendono la figura in movimento attraverso un’altra dimensione, quasi come un’ombra che si dissolve nel tempo.

Testo di Barbara Pierro

Un uomo cammina, ma non cammina; fluttua come un pensiero intrappolato tra il sonno e la veglia, come un ricordo che si dissolve ancor prima di essere afferrato. È figura sfuggente, evanescente, un’increspatura nell’oscurità che non svela, ma cela. Il suo volto è un’eco di volti perduti, un riflesso sfocato di identità sfibrate, inghiottite dalla marcia inesorabile del tempo. La linea che separa il suo corpo dallo spazio è una soglia impalpabile, un confine che esiste solo per essere varcato, cancellato, come l’inchiostro nero che si diffonde su una pagina bianca, sottraendo luce al giorno, senso al visibile.In questo movimento smorzato, in questo incedere incerto, c’è tutto il peso di un’esistenza mai del tutto presente, sempre sul punto di dileguarsi in un altrove che non si conosce, che non si sa. La sua maestà è quella dei naufragi silenziosi, dei sogni abortiti all’alba, delle storie mai raccontate. È un monumento all’effimero, una statua scolpita nel buio, il cui contorno si perde in una danza di ombre e luci spezzate. Nulla è definito, nulla è concreto; tutto è in uno stato di perpetua fluttuazione, un dialogo muto tra il visibile e l’invisibile, tra il presente e l’assenza.L’uomo, o ciò che resta di lui, è un enigma in movimento, una risposta inespressa ad una domanda mai posta. È l’antitesi dell’eroe, la negazione della forma, un corpo che esiste solo nell’atto del passaggio, nella sfumatura impercettibile tra un prima e un dopo che non troveranno mai un appiglio nel reale. Ogni passo è una caduta, ogni caduta un nuovo inizio, un ciclo eterno che non promette nulla se non il perpetuarsi della stessa fuga, dello stesso smarrimento.E così, nell’oscurità che lo avvolge, si compie il rito della sparizione, della resa all’indefinito. Ma in quella stessa sfocatura, in quella dissolvenza graduale, c’è una strana, inesplicabile bellezza. È la maestitia del disfacimento, la gloria di ciò che non sarà mai interamente posseduto. È l’uomo che cammina, senza lasciare traccia, senza voltarsi indietro, sospeso tra la memoria e l’oblio, in una notte che non conosce alba, ma solo la promessa di un altro passo, un altro respiro, un altro momento che sfugge, sempre un attimo prima di diventare eterno.

«Io sono un condannato a morte come Te» © Simona Viscioni

Testo di Vanni Pandolfi

All’interno di uno scenario metafisico una Donna sorregge e trasporta un Uomo stanco, senza forze, impossibilitato nel continuare il suo cammino, sul faticoso percorso della Vita. E’ il nostro destino, quello di essere condannati a morte, ma l’amore è sostegno, prendersi cura dell’altro, unione di forze e protezione, camminando insieme nella luce. E l’ombra sottostante le due figure testimonia la fusione in un unico essere, una nuova entità olistica che supera generi e differenze capace senza alcun dubbio di affrontare quel destino in maniera più tranquilla e sicura. 

Testo di Barbara Pierro

Il duetto delle ombre. Nel cuore del buio, dove la luce s’insinua appena, come un respiro di vita che sfiora il confine dell’eternità, Simona Viscioni cattura l’essenza di una lotta antica quanto il tempo. Due figure si stagliano, nude e vulnerabili, nell’ovale di luce che le accoglie come un palcoscenico sacro, un altare profano eretto all’effimero e al sublime. Sono guerrieri senza armi, amanti senza volto, anime legate da un destino comune: la condanna alla vita, la danza del vivere che è sempre sospesa sull’orlo del nulla.Il silenzio è il terzo protagonista, denso e palpabile, riempie l’aria con la sua presenza incombente. La luce, tagliente e crudele, ne delinea i contorni, enfatizzando ogni curva e muscolo, mentre l’ombra si espande sotto i loro piedi, come una voragine pronta a inghiottirli. E una scena di intima dualità, un intreccio tra il divino e l’umano, il chiaro e lo scuro, l’essere e l’apparire. Come marionette che sfidano i fili del loro burattinaio, le due figure sembrano gravitate in un abbraccio che è al contempo salvezza e condanna. Viscioni non ci racconta una storia, ma un mito riemerso dalle profondità dell’inconscio collettivo, un racconto che parla di noi, del nostro esserci, sospesi in una luce che è sempre destinata a svanire. “lo sono un condannato a morte come Te” è il grido muto di chi ha compreso l’inevitabile e vi danza sopra con una grazia dolente, l’elegia di un incontro che è destinato a perdersi nella penombra.In questo duetto senza tempo, non c’è vincitore né vinto, solo la perpetua tensione di corpi che si sollevano e si sorreggono, sfidando la gravità della propria esistenza. È il dramma del vivere, il gesto eroico del resistere, l’abbandono all’altro che è riflesso di sé. Ogni linea tracciata dalla luce, ogni segno inciso nell’ombra, ci ricorda la bellezza e la fragilità del nostro stare al mondo. La fotografia di Simona Viscioni è un inno all’umanità, nella sua nudità e nella sua imperfezione, un’opera che risuona come una preghiera laica, un sussurro che echeggia tra le navate dell’invisibile. Qui, nel ventre dell’oscurità, dove l’eco delle ombre narra storie senza voce, comprendiamo che siamo tutti condannati a una bellezza irripetibile, a un vivere che brucia, silenzioso e intenso, tra le braccia della luce e dell’ombra, tra la nascita e la morte.Imo plauso per la preziosa condivisione di foto, intensa, potente, vibrante, emozionante!!!

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