da Extra Arts & Culture | 24, Lug 2024 | Fotografia, in-Ciampi di fotografia

Testo di Fabrizio Razzauti
Una giovane donna, avvolta nel suo impermeabile, quasi a proteggersi dal mondo circostante, cammina con sguardo basso persa nei suoi pensieri. Il bianco e nero della fotografia accentua il contrasto di questa figura solitaria e la vivacità del contesto urbano totalmente indifferente. La sua bocca semiaperta quasi a voler recriminare un dolore interiore. Sullo sfondo edifici grigi ed imponenti sembrano schiacciare la donna con la loro mole opprimente. Il rumore della città intorno amplifica la sensazione del volersi estraniare della protagonista. Il foulard in testa a coprire le orecchie come a prendere le distanze dall’ambiente circostante in cui tuttavia deve vivere. Il tutto diventa quasi metafora di un rapporto instabile, complicato e contrastato, fatto di desiderio, ricerca di solitudine ed impatto emotivo profondo dell’assenza della persona amata proprio come nella canzone citata.
Testo di Barbara Pierro
Osservo lo scatto, e immediatamente sento il respiro della città che pulsa, che vive in ogni sua pietra, in ogni suo vicolo. Napoli, eterna e vibrante, si svela in un gioco di luci e ombre, in un bianco e nero che non appiattisce, ma esalta l’anima segreta della città. E al centro di questo affresco vivente, una donna cammina, avvolta in una sciarpa che le cinge il capo nei capelli, come se volesse racchiudere in sé un universo di pensieri inaccessibili, misteriosi.
Il suo incedere è lento, quasi sospeso, e il suo volto, appena accennato dalle ombre, è un enigma che sembra nascondere storie mai raccontate. Questa donna non cammina semplicemente per le strade di Napoli; lei attraversa il tempo, attraversa l’essenza stessa della città. È come se ogni passo scandisse una preghiera muta, un dialogo silenzioso con le anime che abitano quei vicoli.
C’è una solennità in quel gesto, in quella camminata assortita, che mi cattura e mi trascina in un vortice di emozioni. Napoli, con il suo caos vitale, si ritira per un istante, lasciando spazio a questa figura che diventa un simbolo, un’icona di resistenza e bellezza. Le rughe del selciato si fondono con le linee del suo volto, creando una mappa segreta che solo gli occhi del cuore possono decifrare.
In questo bianco e nero, dove ogni contrasto è amplificato, dove la luce gioca con le ombre per creare una sinfonia di toni profondi, la donna diventa l’incarnazione di un pensiero, di un ricordo che affiora, di un sogno che non vuole morire . È come se portasse sulle spalle il peso di generazioni, il dolore e la gioia, la speranza e la rassegnazione, tutto condensato in quel fazzoletto che le copre i capelli.
Questo scatto è più di una fotografia: è una finestra aperta su un mondo interiore, su un universo fatto di ombre e luci, di contrasti e sfumature. È un invito a perdersi in quell’immagine, a lasciarsi avvolgere dal mistero che quella donna incarnata, a cercare tra le pieghe della sua sciarpa il segreto di Napoli, che non è mai stato così vicino, così palpabile, così vivo.
Napoli, con il suo cuore che batte al ritmo della vita stessa, si manifesta in questa fotografia in bianco e nero come un palcoscenico dove il quotidiano si intreccia con l’eterno. Al centro della scena, una donna avanza, avvolta in una sciarpa che incornicia il viso e ne cela i pensieri. La sua figura, assorbita nelle ombre, sembra emergere da un passato remoto, come un’eco di generazioni che hanno percorso
In questo scatto, il bianco e nero diventa un linguaggio universale, una grammatica di contrasti che racconta senza parole. Le linee decise ,delle ombre e le sfumature delicate della luce si fondono, creando un’immagine che non è solo visiva, ma profondamente emotiva. È come se ogni pixel,fosse impregnato della vita pulsante di Napoli, di quel respiro che si sente nelle sue vie strette, nelle sue piazze affollate, nei suoi silenzi improvvisati.
La donna avanza, assortisce nei suoi pensieri, e il suo incedere è solenne, quasi ieratico. Ogni passo è un atto di resistenza, una dichiarazione di presenza ,in un mondo che scorre troppo veloce. La sciarpa che le avvolge il capo è come un velo che separa il suo mondo interiore dalla frenesia che la circonda, un confine sottile tra il visibile e l’invisibile. Non è una semplice figura femminile: è l’incarnazione della memoria, della saggezza antica, del dolore e della speranza che si mescolano nella vita di ogni giorno.
Le ombre dei palazzi sembrano inchinarsi al suo passaggio, quasi a riconoscere in lei, qualcosa di sacro. Le pietre della strada, consumate dal tempo, riflettono il suo cammino come un fiume che scorre ,verso l’ignoto. È una scena che evoca il sacro e il profano, che parla di un’umanità che si confronta con il destino, che vive nel presente ma porta con sé, i segni indelebili del passato.
Mentre osservo questa immagine, sento che sto guardando più di una semplice fotografia: sto assistendo a un frammento di vita che si cristallizza, in qualcosa di eterno. La donna, con il suo capo avvolto e il suo passo deciso, diventa il simbolo di una città che non si piega, che vive con intensità, che trova la bellezza anche nelle pieghe più oscure della sua esistenza. È Napoli stessa, che si riflette in ogni volto, in ogni sguardo, in ogni angolo nascosto, portando con sé ,un carico di storie che non smetteranno mai di esserlo.
In questo scatto, il tempo sembra sospeso, e io mi ritrovo immersa, in un mondo dove il bianco e nero non è sinonimo di assenza di colore, ma di profondità, di verità che si nascondono sotto la superficie delle cose. È un richiamo a vedere oltre, a sentire il battito di un cuore che non smette mai di pulsare, a riconoscere la bellezza nel silenzio, nella solitudine, nel mistero che avvolge ogni anima.
da Extra Arts & Culture | 24, Lug 2024 | Fotografia, in-Ciampi di fotografia

Testo di Fabrizio Razzauti
Un giovane uomo, vestito con sobria eleganza, siede tenendo una sigaretta tra le dita in un ambiente che ha conosciuto tempi migliori. Il suo sguardo è fisso verso il basso, perso nei suoi pensieri. Le sopracciglia leggermente aggrottate e le labbra dischiuse tradiscono una vena di malinconia che percorre il suo viso. Riferimenti alla tematica esistenziale e introspettiva che caratterizza la canzone “Confiteor”: un’auto-confessione di un uomo tormentato alle prese con senso di “inconcludenza”, fragilità e incomunicabilità.
Testo di Barbara Pierro
Tengo nelle tasche sogni! strani, sogni” – Il Riflessionista Sospeso
Un uomo si staglia al margine di una stanza che pare sospesa nel tempo, come un frammento di un sogno interrotto. Patrizia Mori cattura un attimo di malinconia e contemplazione, un respiro trattenuto nell’aria stantia di una casa che sembra conoscere solo il linguaggio del silenzio. Seduto al confine tra l’interno e l’esterno, tra il chiuso e l’aperto, il protagonista trattiene tra le dita una sigaretta, una piccola fiammella di esistenza che brucia lenta, consumandosi senza fretta, in un rito intimo e quotidiano. La sua figura, assorta e fragile, evoca una giovinezza che non è più fresca ma neppure ancora svanita; è una giovinezza che contempla se stessa nel riflesso della vita che scorre, che si interroga sul proprio destino con l’espressione di chi ha imparato a decifrare le ombre sulle pareti, i segreti sussurrati dai mobili vecchi, i sussulti del pavimento sotto i piedi. C’è un mondo che si agita nei suoi occhi, un universo di sogni che si annida nelle pieghe della sua camicia sgualcita, tra le rughe dei pensieri che non trovano pace.Mori ci offre un ritratto di una solitudine che non è isolamento, ma un dialogo con l’invisibile. Ogni oggetto nella stanza, dalla sedia abbandonata alla porta socchiusa, è un simbolo muto di possibilità e rimpianto, di sogni che si tengono stretti nelle tasche, sogni strani, irrequieti, forse irrealizzabili, ma che esistono proprio perché credere in essi è l’unico modo per sentirsi vivi. È come se il giovane uomo stesse dialogando con l’infinito, in un linguaggio fatto di silenzi e pause, un lessico senza parole che solo gli spiriti irrequieti sanno comprendere.In quell’atto semplice e complesso di tenere un sogno tra le dita, Mori distilla l’essenza di un’esistenza interiore profonda e sommessa. Le pareti della stanza diventano un palcoscenico per un monologo muto, una riflessione sull’essere e sul sentire, sul peso dei giorni che scivolano come cenere e sulla forza di continuare a sognare, nonostante tutto. È un momento rubato al tempo, un fermo immagine che parla delle nostre stesse inquietudini, della bellezza sottile di un pensiero che si disperde nell’aria, insieme al fumo di una sigaretta.“Tengo nelle tasche sogni! strani, sogni” è una dichiarazione di resilienza, una promessa a sé stessi, un modo di sopravvivere ai giorni uguali, di rendere sacro ciò che è ordinario. Mori non ci mostra un eroe, ma un essere umano, nella sua semplicità e complessità, nella sua resa e nel suo desiderio di riscatto. E in questo ritratto senza tempo, ciascuno di noi può specchiarsi, riconoscendo nei lineamenti di quel giovane l’eco dei propri sogni mai confessati, dei propri desideri tenuti segreti, di quell’irrinunciabile anelito verso un domani che, forse, ci renderà finalmente liberi.
da Extra Arts & Culture | 24, Lug 2024 | Fotografia, in-Ciampi di fotografia

Testo di Fabrizio Razzauti
Una coppia di anziani si sostiene per mano per un bagno, il mare è calmo, il sole risplende. L’ombrellone è pronto a proteggere dall’intensa luce al loro ritorno. Tranquillità, protezione, armonia ed equilibrio accentuati dalla simmetria della composizione in cui tutto risulta in ordine. Un’immagine che diventa metafora della vita di coppia e dell’amore – tu vai sicura, vai così perché io son sempre qui – fatta di piccoli gesti quotidiani e che nella canzone di Piero rimane nel «mondo dell’illusione».
Testo di Barbara Pierro
Sotto un sole che si riflette in migliaia di piccole onde e incorniciato da un ombrellone solitario sulla riva, una coppia avanza lentamente verso il mare. Due figure che, con passo incerto, camminano fianco a fianco, immerse fino alle ginocchia nell’acqua cristallina. Le loro mani si tengono strette, intrecciate come le radici di due alberi cresciuti insieme nel tempo.Non c’è fretta, non c’è urgenza. Ogni passo è un piccolo rituale, una danza silenziosa di chi conosce il ritmo del tempo che scorre ma non ha paura di seguirlo. Sulla riva, sotto l’ombrellone, gli oggetti quotidiani: una borsa abbandonata, un asciugamano, un libro lasciato a metà. Piccoli segni di una giornata al mare, momenti di una vita semplice e condivisa. Il mondo intorno scompare, si riduce a un battito di ciglia, a un respiro profondo che riempie i polmoni con il sale del mare e la nostalgia di ciò che è stato. La riva sassosa e le acque calme riflettono una storia senza parole, un amore che non necessita di spiegazioni né di grandi gesti per esistere. Si basta da sé, si nutre della quiete delle mattine estive, delle onde che lambiscono i piedi e delle risate che si perdono nel vento.Sono l’incarnazione di un tempo che non si può fermare ma che si può vivere con pienezza, uno accanto all’altro, senza bisogno di altro se non di quel semplice contatto. Mani che si stringono, che si sostengono in un equilibrio fragile e potente al tempo stesso. In quel tenue tocco, c’è il passato, il presente e un futuro che non teme l’incertezza.L’amore è tutto qui, in quella linea sottile tra la terra e il mare, nel riflesso di due anime che camminano insieme verso l’infinito, senza cercare altro se non il conforto della reciproca presenza. Un’immagine di semplicità e verità, un istante sospeso che racconta più di mille parole, che cattura l’essenza di ciò che significa essere uniti, senza pretese, senza necessità di altro se non di questo.Un passo, poi un altro, le onde si fanno più profonde, ma le mani restano unite. Non serve altro. In questo piccolo frammento di mondo, l’amore è completo, intero, perfetto nella sua imperfezione. Non ci sono promesse grandiose, solo la certezza di un cammino condiviso. E nel riflesso di quell’acqua, si vede tutto ciò che davvero importa: due vite intrecciate, un amore che resiste al tempo, come le onde che si infrangono ma sempre tornano, instancabili e fedeli, sulla stessa riva.E mentre il sole cala dolcemente, lasciando spazio alla quiete della sera, resta solo il suono lieve delle onde, il ricordo di due figure che si tengono per mano, camminando insieme nel mare della vita. Sì, l’amore è davvero tutto qui.
da Extra Arts & Culture | 24, Lug 2024 | Fotografia, in-Ciampi di fotografia

Testo di Fabrizio Razzauti
Persone camminano per un’elegante strada cittadina, molte da sole, con testa china assorte nei loro pensieri, altre impegnate dai numerosi impegni quotidiani. Il selciato è bagnato e l’abbigliamento fa pensare all’autunno. Il bianco e nero accentua l’atmosfera di grigiore, la malinconia e l’incomunicabilità dei giorni nostri. Gli innamorati che si stringevano le mani in cerca di un posto solitario per farsi dolci promesse nella canzone “Autunno a Milano”, oggi si stringono vicini solo per farsi un selfie.
Testo di Barbara Pierro
La Sinfonia delle Pietre e degli Anonimi
Nell’opera fotografica “Il Duomo e via Manzoni si vestono di grigio III” di Ornella Burchianti, ci troviamo di fronte a un dipinto senza colori, un ritratto senza tempo, un’invocazione visiva che attinge alla potenza dell’eterna contrapposizione tra il permanere e il fuggevole. In questo scatto in bianco e nero, la città stessa respira, si contrae e si espande in un’armonia fatta di luce e ombra, di movimento e staticità, come un cuore che pulsa nelle viscere di una Milano antica e moderna al contempo.
Il Duomo, colosso gotico che si staglia maestoso verso il cielo, non è solo un testimone di pietra, ma un cantore silenzioso delle storie di tutti coloro che hanno calcato questi selciati. Le sue guglie, appuntite come le dita di un veggente, sembrano indicare direzioni celesti, chiamando l’occhio a sollevare lo sguardo oltre il frastuono della quotidianità, oltre il caos dell’umano. In questo abito di grigio, il Duomo si fa custode delle nebbie del passato, delle preghiere senza nome e delle urla soffocate che echeggiano tra le sue navate e sotto il suo marmo candido che, privo di colori, diventa tela per ogni possibile immaginazione.Via Manzoni, strada che si allunga come una promessa non detta, appare in questo scatto come un fiume urbano che scorre senza tregua. È un percorso di anime in movimento, ognuna intrisa di un viaggio interiore, di un’esistenza singolare. I passanti sono ombre che attraversano il tempo e lo spazio, figure evanescenti che appaiono e scompaiono in un ritmo simile a quello delle maree. Essi sono il simbolo di un’umanità in perpetuo divenire, persa nei suoi pensieri, nei suoi cellulari, nei suoi incontri mancati e nelle sue mete sempre sfuggenti. Ma è nel contrasto tra l’immobilità imponente del Duomo e la fuggevolezza dei passanti che si manifesta la vera potenza dell’immagine. Il bianco e nero, scelto con sapienza, amplifica il senso di una città che non conosce stagioni, che si veste ogni giorno dello stesso manto di grigi e che sembra sospesa in un limbo tra l’eternità e l’istante. È come se il tempo stesso, nel momento in cui l’otturatore si chiude, venisse cristallizzato, trattenuto in un battito di ciglia che racchiude secoli. Burchianti, con la sua capacità di cogliere l’essenza delle cose non dette, ci invita a guardare oltre l’evidenza del paesaggio urbano. Non è solo la rappresentazione di un luogo, ma la cattura di un’essenza spirituale, di un’anima cittadina che parla attraverso il linguaggio delle ombre e dei riflessi. Le facciate dei palazzi, specchi opachi di sogni infranti e ambizioni mai realizzate, si ergono come scenografie di un teatro invisibile, dove i veri protagonisti sono i passi, i sospiri e le traiettorie di chi vi transita, sfuggendo all’oblio per un istante.Ogni dettaglio, ogni angolo, ogni sfumatura di grigio si fa portavoce di una bellezza sottile, non appariscente, una bellezza che risiede nella somma delle parti e nei vuoti tra di esse. C’è un che di mistico nella visione di questi spazi occupati e abbandonati nel medesimo momento, come se la fotografia stessa potesse aprire una finestra su un altro piano di realtà, uno spazio interiore dove ogni passer-by non è solo un individuo, ma un simbolo di un’esistenza più ampia, un richiamo all’umanità intera. La fotografia di Burchianti è, dunque, un’opera che va oltre la semplice rappresentazione visiva; è un poema in chiaroscuro, una preghiera senza parole rivolta al cielo e alla terra, un richiamo al sacro che alberga nel profano del quotidiano. Le guglie del Duomo e le ombre dei passanti si fondono in un’unica sinfonia, una musica silenziosa che risuona nel cuore di chi sa fermarsi a contemplare, di chi è disposto a vedere non solo con gli occhi, ma con l’anima.E così, in questo scatto, il Duomo e via Manzoni non sono più semplici luoghi; diventano archetipi di un viaggio ancestrale, simboli di un cammino che ci accomuna tutti, dal più umile pellegrino al più disincantato cittadino. Sono la testimonianza di un’umanità che, pur continuando a muoversi freneticamente, non può sfuggire alla quiete eterna della pietra, alla memoria imperitura di ciò che è stato e di ciò che, forse, sarà.
da Extra Arts & Culture | 24, Lug 2024 | Fotografia, in-Ciampi di fotografia

Testo di Athos Rosini
È un immagine piacevolmente formale, ricca di simbolismi: acqua, cielo, ombre, riflessi è “la grotta dell’amore” poesia cantata di Piero Ciampi. Non stiamo fermi ad attendere il movimento dell’acqua, non perdiamo le opportunità che la vita, ogni giorno ci prospetta, lanciamo un sasso, anche più di uno, nell’acqua perché le cose/amore accadano.
Testo di Barbara Pierro
L’Antro delle Rivelazioni
– L’Abbraccio del Silenzio
Nell’opera fotografica “La grotta dell’amore” di Giancarlo Ballo, l’immagine si schiude dinanzi a noi come una visione arcana, un portale verso una dimensione al di là del tempo e dello spazio, dove l’anima si rifugia per cercare risposte che il mondo esterno non può offrire. La grotta, catturata in bianco e nero, si staglia come un tempio naturale, un ventre oscuro e accogliente che sembra pulsare di vita propria. Le sue pareti, scolpite dai secoli e dalle acque, raccontano storie antiche, sussurrano segreti di un passato dimenticato, mentre il gioco delle ombre e delle luci trasforma ogni curva e ogni rilievo in un’epifania misteriosa.Questo antro, luogo di raccoglimento e di introspezione, non è semplicemente una caverna; è uno spazio sacro, un grembo che accoglie e custodisce le verità più profonde. Le sue profondità sembrano estendersi all’infinito, come un corridoio verso il cuore dell’esistenza, un viaggio interiore che si snoda tra le pieghe della coscienza e dell’inconscio. Ogni ombra che si insinua tra le rocce, ogni riflesso che balugina lieve, sembra un frammento di un sogno ancestrale, un invito a perdersi per ritrovarsi, a scendere nelle profondità dell’ignoto per scoprire ciò che realmente risiede nel nostro essere.
– L’Incedere della Silhouette
In basso a sinistra, una figura di donna si staglia di profilo, un’apparizione eterea e sfuggente che avanza in un movimento sospeso tra il mondo del reale e quello dell’immaginazione. Ella non è solo un personaggio che attraversa la scena, ma un simbolo vivente del cammino interiore, del percorso che ogni individuo intraprende nel vasto e oscuro antro del proprio cuore. Il suo passo è lieve, quasi fluttuante, come se ogni contatto con il terreno fosse una carezza, un tocco gentile alla sacralità della terra. La donna è avvolta da un’ombra che non la inghiotte, ma la accoglie come una madre accoglie il suo bambino; è un abbraccio morbido e rassicurante, una coperta di oscurità che protegge e cela, mentre la luce che si insinua dall’ingresso della grotta sfiora appena la sua silhouette, rendendola parte di un dualismo tra luce e tenebra, tra rivelazione e mistero. Ella avanza, ignara degli sguardi del mondo, immersa in un dialogo silenzioso con le pareti dell’antro che sembrano risponderle, accompagnandola in questo viaggio solitario e universale.
– L’Allegoria del Ritrovamento
L’antro diventa allora allegoria di una ricerca incessante: quella dell’amore, della verità, dell’essenza ultima dell’esistenza. Non è un caso che il titolo stesso parli di una grotta d’amore; qui l’amore non è solo quello romantico, ma l’amore come forza cosmica, come energia primordiale che muove e unisce ogni cosa. Le stalattiti e le stalagmiti che si protendono come braccia pietrificate verso il centro della grotta sembrano partecipare a una danza immobile, un’antica coreografia di creazione e distruzione, di nascita e morte, in cui ogni goccia d’acqua che cade è un battito, un respiro di quel grande cuore che è l’universo.L’antro si trasforma così in una cattedrale naturale, un luogo di devozione non a un dio visibile, ma a quel divino che risiede dentro ogni cosa, ogni pietra, ogni essere vivente. La grotta stessa diviene un custode di promesse, di sogni infranti e di speranze mai del tutto abbandonate. In questo scenario senza tempo, la donna non è solo una viaggiatrice, ma una sacerdotessa silenziosa che attraversa l’altare dell’esistenza, un ponte tra il tangibile e l’intangibile, tra ciò che si vede e ciò che si sente nelle profondità dell’anima.
– Il Sussurro delle Pietre
Le pareti della grotta parlano, non con parole, ma con vibrazioni, con il muto linguaggio delle pietre che hanno visto passare ere e destini. Esse ci ricordano che ogni viaggio è circolare, ogni scoperta porta inevitabilmente a un ritorno alle origini. Il bianco e nero dell’immagine non sottrae ma arricchisce; depura l’esperienza, distillando il visibile in un’essenza che trascende il colore per abbracciare il puro, il vero, il non detto. È come se l’immagine stessa volesse strappare via il superfluo, lasciando solo l’essenza di ciò che è realmente importante: l’amore, la ricerca, il coraggio di avanzare anche quando il cammino si perde nelle ombre.E così, “La grotta dell’amore” di Giancarlo Ballo diventa più di una fotografia; diventa un invito a riflettere sul nostro cammino, sulla luce che cerchiamo e sulle ombre che ci portiamo dietro. È un monito dolce e potente a ricordare che, in ogni passo che facciamo, anche nell’oscurità più fitta, esiste una bellezza nascosta, una verità silenziosa che attende di essere scoperta. Nella donna che incede, nei contorni sfumati delle rocce, nella luce che si fa strada tra le fessure, si ritrova l’eco di un amore che è più grande, più antico e più profondo di qualsiasi parola possa mai descrivere.
Alla fine, siamo tutti viaggiatori in una grotta che chiamiamo vita, e ogni passo, ogni respiro, ogni sguardo è un tributo a quel mistero che ci guida e ci tiene. È un viaggio senza mappe, senza certezze, ma con la promessa eterna che anche nell’ombra più oscura, c’è sempre una luce pronta a guidarci verso il prossimo battito, verso il prossimo respiro, verso il prossimo amore che ci attende nell’antro sacro del nostro esistere.